1464765_585204028200811_1742585181_n-169x300Anna Lombroso per il Simplicissimus

Succede anche ai più arrabbiati di sentirsi stanchi. Stasera ho la tentazione di tirar fuori e ripubblicare un post di uno, due, tre anni fa, di dire che va ancora bene perché nulla è cambiato, salvo il clima.

Invece no, tutto è peggiorato, le crisi diventano emergenza, i problemi si convertono in tragedie, l’indifferenze e l’accidia sconfinano nel crimine.

Ormai almeno due volte l’anno piangiamo con un senso di vergogna  i morti di pioggia. Ormai almeno due volte all’anno le piogge intense, probabilmente imputabili al cambiamento climatico che surriscalda il pianeta, così, tanto per dare la colpa a qualcuno, fanno uscire l’acqua dagli argini di fossi, torrenti, fiumi, sulle colline e nelle pianure, allagano e devastano sottopassi, esplodono i tombini, campi coltivati di trasformano in paludi senza vita,  fabbriche e case diventano inabitabili, strade e ferrovie impercorribili. I ministri si rammaricano, recuperano l’istituto del messaggio di cordoglio,  invocano lo stato di calamità naturale, che già di per sé rappresenta un dileggio, perché la pioggia è naturale, non i lutti, non la devastazione, non le frane, effetto di abusivismo, speculazioni, incuria. Lo  stato ci mette qualche soldo, che arriva sempre in ritardo, per ricostruire nello stesso posto, le stesse cose che sono state spazzate via dalle acque, per rimborsare le perdite dei beni alluvionati o dei raccolti perduti.

E intanto governi di larghe intese, più larghe falle e ancora più estesi interessi propongono leggi licenziose di “difesa del suolo”, promuovono inventari e censimenti, istituiscono agenzie e enti, emanano, proclamano, concedono permessi, autorizzazioni dissennate quanto è dissennata la loro visione di una crescita, semmai verrà, ancora illimitata, dissipata, al servizio di un profitto sempre più rapace, folle e suicida. Ogni ipotesi di tutela è accompagnata da misure che prevedono condoni, perdoni, licenze. Ma è poi l’ambiante che non ci perdona, i torrenti deviati, i fiumi nei quali si accumulano anni di detriti, le montagne scavate, le perforazioni, i buchi, e le colate di cemento, i tunnel, le falde imputridite di veleni, l’accumulo di rifiuti che hanno intriso i suoli.

L’unità d’Italia non passa solo per la presenza mafiosa, ma anche per la criminalità ambientale.   Parlamenti a corrente alternata votano a un tempo stanziamenti per la Tav e per il Mose e  risoluzioni per stanziare risorse per contrastare il dissesto idrogeologico. L’ultima in ordine chiedeva finanziamenti per 500 milioni annui che sono stati ridotti di 16 volte.  E che nella legge di stabilità non trovano posto, benché in Italia – è scritto proprio in quella risoluzione –  «le aree a elevata criticità idrogeologica (rischio frana e/o alluvione) rappresentino circa il 10 per cento della superficie del territorio nazionale (29.500 chilometri quadrati) e riguardino l’81,9 per cento dei comuni (6.633); in esse vivono 5,8 milioni di persone (9,6 per cento della popolazione nazionale), per un totale di 2,4 milioni di famiglie; in tali aree si trovano oltre 1,2 milioni di edifici e più di 2/3 delle zone esposte a rischio interessa centri urbani, infrastrutture e aree produttive».

Parlamenti a corrente alternata si pronunciano a favore dell’acquisto di F35 e il taglio alle risorse per la sicurezza idrogeologica. E oggi le cronache sul posto parlavano di due, dico due, elicotteri in servizio in Sardegna.

Parlamenti a intelligenza alternata poi leggono, ammesso che lo facciano, l’Inventario dei fenomeni franosi in Italia, realizzato dall’Ispra e dalle Regioni e Province autonome, che ha censito e presentato a governo e camere i dati dalla sua istituzione:  oltre 486 mila fenomeni franosi, il 68 per cento delle frane europee, un bel primato.  E sempre l’Ispra ha valutato che il costo complessivo dei danni provocati dagli eventi franosi e alluvionali dal 1951 al 2009, rivalutato in base agli indici Istat al 2009, risulta superiore a 52 miliardi di euro, quindi circa un miliardo di euro all’anno e, complessivamente, più di quanto servirebbe per realizzare l’insieme delle opere di mitigazione del rischio idrogeologico sull’intero territorio nazionale, individuate nei piani stralcio per l’assetto idrogeologico e quantificate in 40 miliardi di euro.

Invece di andare in ginocchio a ricevere ordini, invece di consentire magnanimamente ai comuni della Sardegna di sospendere la “fedeltà” al patto di stabilità, invece di farsi umiliare dai minuti di silenzio per i nostri morti, invece di rimandare indietro i nostri soldi per l’incongruità con le procedure farraginose dei burocrati comunitari, il presidente Letta in volo verso Olbia dovrebbe girare l’aereo e andare a Bruxelles, esigere l’immediata sospensione degli obblighi imposti dai ricattatori europei, ristabilendo le regole della “giustizia” e dell’equità per salvare un Paese che sta affondando.  Spiegare con fierezza che la strada da percorrere è che la sovranità dello Stato si esprima impegnandosi come general contractor nelle opere di tutela del suo territorio, promuovendo  occupazione per la difesa del suolo e la salvaguardia del paesaggio, in modo che si attui la vera pacificazione, quella con il lavoro e la terra.