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Leopolda. E i ricchi risero

renziinterventoAnna Lombroso per il Simplicissimus

A volte ho la tentazione di adottare un approccio lombrosiano nell’osservare i commedianti in teatro: fatti salvi il condannato, la sua musa e badante, il suo premio Nobel mancato, che risplendono di prepotente  ridicolo esibito senza vergogna, sboccati e sgangherati nelle parole, nelle tinture e nei tiraggi, nell’estrema bruttezza, che – l’hanno detto in molti – raramente si accompagna alla virtù, gli altri hanno scelto la strada di una, pallida, grigia e rassicurante mediocrità, quella plumbea degli euro burocrati, quella sapientemente trasandata e informale in maniche di camicia, quella in divisa da agente immobiliare o da mediatore di fondi, cui non si sono sottratte nemmeno dive di calendari passate per influenti dicasteri.

Ma anche sottraendosi alla facile lusinga della fisiognomica e a quella più severa della semantica, le previsioni sul futuro della classe dirigente e delle organizzazioni intorno alle quali stringono alleanze opache, vincoli espliciti o segreti, in un’alternanza di invettive e blandizie, come si addice appunto a una troupe della commedia all’italiana dove tutti infine sono “amici loro”, sono allarmanti.

In questi giorni piace ai media e agli opinionisti proporci una ostensione allegorica della contrapposizione tra l’epico consumarsi di tradimenti e punizioni simboliche del Pdl verso Forza Italia e chissà che, come rappresentazione esemplare di un rito antico, quello di “vecchi” navigati, cinici, temprati alle lotte intestine e ai sabotaggi, anche se qualcuno è relativamente giovane dal punto di vista anagrafico, ma già coperto dalle ragnatele delle strategie, degli stratagemmi, degli inganni, e invece dall’altra parte un ceto giovane, nuovo e innovatore, che piazza sul palco le sedie di design, come reperto accettabile, la lavagna di scuola, ma elettronica, e fa sfilare in passerella le figurine Panini a testimonianza di un’Italia dinamica, volitiva,  globalizzata per il tramite di master all’estero e dell’abuso del gergo del marketing, spregiudicata grazie al nutrimento di pregiudizi favorevoli nei confronti di una ideologia che di fresco, innocente e originale non ha proprio nulla.

Così in nome del nuovo che avanza abbiamo visto sfilare alcuni allarmanti “esordienti”, più rottamatori di Marione lo sfasciacarrozze, perché più motivati a piazzarsi su sedie ancora tiepide e collocazioni ancora profittevoli malgrado la crisi che i loro papà, di sangue o di riferimento, hanno creato: comunicatori freschi di bucato come Gori, la teoria dei piccoli Olivetti crescono, imprenditori illuminati di quelli che hanno fatto virtù del vizio di volerci persuadere che siamo tutti sulla stessa barca, sfruttati e sfruttatori,  abbaglianti economisti di quelli che hanno scelto di far fare economia a quel popolino di precari, dipendenti pubblici, pensionati,  sottooccupati in favore di categorie più smart, le loro, probabilmente. Bisognerebbe suggerire a Renzi che la sua idea di nuovo partito minaccia di uniformarsi al modello di Veltroni al Lingotto, con l’album di famiglia dei suoi imprenditori, Colaninno e Calearo, dei suoi economisti, Ichino con un occhio a Sacconi, dei suoi “intellettuali”, meglio se recensori dei suoi bestseller, tutti a nuotare nel liquindo amniotico di una formazione che aveva prima di tutto la missione di seppellire con l’”idea” di sinistra, anche principi, valori, ideali che avrebbe dovuto essere irrinunciabili, compresi quelli che dovevano tener salda la democrazia abusata  a cominciare dal nome Partito Democratico, ora seppellita da quel che resta di quell’organismo senza identità, da un nonno che si è fatto re, dal suo nipotino al servizio di quei poteri che approfittano della crisi economica per affondare lavoro, diritti, cultura, istruzione welfare.

Presso pubblico e osservatori alla Leopolda hanno riscosso gran successo infatti due figuri che non permettono equivoci. Davide Serra, cautamente criticato per rappresentare il nuovo grazie al passaggio da Antigua dell’ex premier alle Cayman, poi sdoganato dall’Annunziata, ça va sans dire, è stato praticamente issato sul palco da un Renzi ancora grato per le buone relazioni strette intorno alla cena con gli uomini dell’economia, che vorremmo sapere chi ha pagato e che nella mente dello staff del sindaco di Firenze – che ci torna solo in occasione delle primarie – dovrebbe forse rappresentare la risposta  al movimento 5 stelle.

Il Serrapensiero è costituito da un livoroso e bellicoso j’accuse nei confronti delle vecchie generazioni parassitarie, che avrebbero vissuto al di sopra delle proprie possibilità, secondo l’ideologia della troika, del Fmi, dei loro scagnozzi indigeni e non, ciononostante ancora foraggiati e tutelati da un sistema sociale che invece penalizza i giovani, non offrendo loro le stesse possibilità.

Non mi prendo nemmeno la briga di vedere da che sacri lombi è nato il Serra, chi gli ha pagato scuole e master, chi oggi nutre le sue attività tutte all’insegna della fuffa più scroccona. Ma ci vuol poco a sospettare che beni e privilegi, più ereditati che conquistati, così come quella gaia dismissione di principi morali elementari, che hanno diretto i suoi itinerari verso paradisi fiscali rinomati, gli vengano dai suoi di vecchi, che invece i nostri . a cominciare da chi ha liberato l’Italia dal fascismo, purtroppo a termine –  non solo non hanno vissuto al di sopra dei propri mezzi, ma hanno conquistato diritti e garanzie che lui vuole definitivamente abbattere, hanno messo da parte quel poco che finora aveva fatto sopravvivere il Paese, quei “fondamentali” su cui campa ancora lui, il governo, il ceto politico.

Altra star molto omaggiata sul palcoscenico della vecchia stazione è quel Yoram Gutgeld, ex senior partner e direttore di McKinsey, deputato Pd in quota renziana e nuovo consigliere economico del candidato che recentemente ha presentato le sue idee in una relazione intitolata “Come fare ridere i poveri senza far piangere i ricchi”, che ha definito un “programma per il rilancio della sinistra e del Paese”, un altro guru dellassimiliazione al neo liberismo in salsa di pummarola con tutti i più triti luoghi comuni che abbiamo sentito pronunciare a raffica bipartisan, da Tremonti a Attali, da Zingales a Brunetta, e poi più su più fino a Craxi, De Michelis, alla Milano da bere trasformata in Italia da assetare. E via con l’economia green, le privatizzazioni volte a  aumentare la concorrenza nei servizi e a ridurne i prezzi, come non avessimo testato che avviene proprio il contrario, la contrazione   del 10 per cento della spesa pubblica «intermediata fino alla sua proposta più creativa: cento euro in meno di tasse per tutti.

 Sarà una proposta immaginata per far sorridere ii ricchi, che, si sa, provano una grande allegria quando ce lo mettono in quel posto. Allora a me, slogan per slogan, piace di più “anche i ricchi piangono”.

 

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