Magari il Quirinale sarà tirato a specchio da schiere di pulitori, ma la lucidità ha abbandonato il Palazzo da un bel pezzo. E non brilla nemmeno il recente direttore dell’ufficio stampa, Maurizio Caprara, ancora in forza al Corriere della Sera, visto che non ha avuto il buon gusto di dimettersi, ma soprattutto figlio di Massimo Caprara che seguendo la scia dell’amico Napolitano ha cominciato come segretario di Togliatti ed è finito come catto -anticomunista in forza al Giornale. Non brilla perché nella polemica di questi giorni i tra i falchi del Pdl che parlano di un patto tra il Colle e Berlusconisu un’eventuale grazia, svoltasi in gran parte sulle pagine de Il Fatto, ha commesso quella che in un Paese con una buona memoria a breve e lungo termine, sarebbe stata una gaffe terribile, ma che da noi scorre come pioggia sul vetro.
Si perché il Quirinale, parla di “panzane” dei falchi pidiellini, ma indirettamente e ingenuamente conferma che comunque una trattativa sulla grazia ci fu. Non solo: dimentica che parte di quella trattativa venne incorporata nell’omelia solenne di Napolitano il 13 agosto scorso. Dice infatti il santissimo Palazzo che “Berlusconi voleva una sorta di perdono generale per il suo ruolo di leader in questo ventennio”. Dunque il Cavaliere la grazia l’ha chiesta insistentemente e magari inesperto di trattative ricattatorie com’è lui, povera stella, deve aver avuto l’impressione che il Quirinale non fosse poi così avverso al provvedimento di grazia o magari – con vibrante benevolenza -avesse proposto altre strade, per esempio l’amnistia. Fatto sta che la lectio magistralis del 13 agosto riporta proprio la richiesta del Cavaliere e la pone all’attenzione e alla meditazione del Parlamento: “In questo momento è legittimo che si manifestino riserve e dissensi rispetto alle conclusioni cui è giunta la Corte di Cassazione nella scia delle valutazioni già prevalse nei due precedenti gradi di giudizio; ed è comprensibile che emergano – soprattutto nell’area del PdL – turbamento e preoccupazione per la condanna a una pena detentiva di personalità che ha guidato il governo ( fatto peraltro già accaduto in un non lontano passato ) e che è per di più rimasto leader incontrastato di una formazione politica di innegabile importanza”.
Dunque ciò che dicono i falchi del Pdl sono panzane relative e semmai sono tali solo in relazione ai risultati di quelle trattative, non alla loro esistenza: del resto questo è ciò succede quando un presidente entra nella logica dei patteggiamenti facendo le funzioni di premier. Certo è un destino che con le trattative segrete Napolitano non ci azzecchi: quando non ci sono registrazioni da cancellare ci pensa l’ufficio stampa a dare conferme. La Consulta dovrebbe intervenire, ma ancora una volta tutto finirà a panzanelle e vino.
Un Ufficio di Presidenza senza coda di paglia in un Paese normale avrebbe liquidato le ipotesi del ‘Fatto’ con un tono quale si addice a un organo super partes: “le illazioni relative ad un’eventuale trattativa inerente la grazia al condannato Berlusconi ecc. sono destituite di qualsiasi fondamento”, e finiva lì; oppure non si dava seguito a nessun dispaccio piccato, ch’era pure meglio, e si lasciavano le ipotesi nella sfera che gli competevano di illazioni più o meno fantasiose. Ma la reazione volgare, indegna di un’Istituzione somma come quella della Presidenza della Repubblica, lascia tranquillamente non solo sospettare, ma ne dà piena certezza, che il tentativo gaglioffo quanto maldestro per dare un qualche scudo tergichiappe al D. (Delinquente) non solo vi fu, ma è storia, oltre che cronaca. Solo i sondaggi e la reazione della base piddina ha fatto sì che quello fosse il ‘tipping point’ da non oltrepassare, pena le famose percentuali da prefisso telefonico alle prossime scadenze elettorali.
Ma che D. abbia ancora qualche arma in saccoccia per salvare le posteriora è un’ipotesi tutt’altro che peregrina, visto che al Senato, semmai vi sarà (non è aria) il voto sulla sua eventuale decadenza e sull’ineleggibilità, è in atto una plasmodiante manovra per rimandare il tutto tra ricorsi in Cassazione, alla Consulta, in Lussemburgo e nella Suprema Corte della Via Lattea se il caso. Inoltre si staglia sul fondo il voto segreto, visto che nella Giunta per il Regolamento al Senato un esponente del SVP ha permesso che la maggioranza si esprimesse in tal senso (4 a 3). E col voto segreto tutto è possibile e mercanteggiabile, coi pentastellati e piddini che si rinfaccerebbero l’eventuale salvataggio del D. (e altri scenari da far esaltare i più dietrologi tra i retroscenisti professionisti nostrani).
Il problema del salvataggio sostanziale del D. è all’ordine del giorno degli armeggiamenti del Colle e di Palazzo Chigi oltre che di Palazzo Madama.