Anna Lombroso per il Simplicissimus
Noi (50 uomini, 50 donne e 70 bambini) Guarani-Kaiowá della comunità del tekoha Pyelito kue / Mbrakay,scriviamo questo appello prima di essere attaccati, violentati e gettati nel fiume…
Comincia così la lettera che i capi della comunità indigenza Guaraní-Kaiowá del Mato Grosso do Sul, hanno scritto annunciando il suicidio di massa di 170 persone (50 uomini, 50 donne e 70 bambini), se sarà reso esecutivo l’ordine della Corte federale di privare la tribù della ‘Cambará Farm’, dove sono temporaneamente accampati. Sono stati depredati del loro territorio, che era anche un luogo di culto, oggetto di una speculazione favorita dal governo. L’inarrestabile progresso in questo caso prevede che il tekoha dei Guarani – Kaiowa si trasformi in profittevoli piantagionio di soia e canna da zucchero, non solo a scopo alimentare, e in terreno di pastura per il bestiamo in attesa di diventare hamburger.
Non hanno scelta: o se ne vanno, in un modo o nell’altro, deportati o suicidi, o sono condannati a pagare la permanenza sulla loro terra 2.500 dollari al giorno.
Non sono mai finiti i crimini dell’Occidente, le istigazioni a quei tremendi suicidi di massa ai tempi delle rapine coloniali. Anzi ora gli stessi carnefici applicano i loro disegni delittuosi all’interno dei loro stati, ai danni dei loro terzi mondi interni, diventati terreni di scorrerie.
I Guarani-Kaiowá ricordano gli Xosa il cui atto definitivo e totale di autodistruzione viene descritto da Canetti in Massa e Potere, espropriati di identità, costretti all’abiura dei loro dei, spogliati di tutti i loro poveri beni e anche della loro volontà personale, tanto da estinguerla in quella che gli studiosi chiamano intenzionalità collettiva, nell’obiettivo concorde di destituzione della coscienza personale verso un istinto di annullamento e di morte.
Ma ricordano anche altri popoli, altre comunità istigati all’autodissoluzione, a un suicidio apparentemente meno cruento, quello morale. L’induzione si esercita negli stessi modi e sugli stessi percorsi dell’orrore coloniale: rimozione, perdita di valori, autoinganno, ignara mimesi nel carnefice da parte delle vittime, sicché ne subiscono l’influenza, la fascinazione, lo imitano, lo invidiano, lo votano e infine lo proteggono a costo della loro stessa cancellazione.
Ricordano noi. Oggi il Simplicissimus si chiede come mai le piazze siano piene in Egitto e non da noi.
Forse perché il suicidio morale si è già largamente consumato, con la dissoluzione della bellezza contenuto potente dell’andamento criminoso della vita economica e sociale, con la sistematica svendita di legalità in cambio di consenso, con la dissipazione di lingua, memoria, arte in cambio di una cultura comune, quella commerciale, pubblicitaria, mercantile, con le dimissioni dalla coscienza e dalla responsabilità individuale in cambio di una delega collettiva e di una abdicazione condivisa, con la rinuncia alla giustizia in cambio dell’arbitrarietà che ci si augura possa sfiorare con la polverina magica del privilegio immeritato.
Il suicidio collettivo ha già fatto una vittima, la dignità che quelli che una volta si chiamavano “selvaggi” hanno conservato, a costo della vita.
“Chi ha un perché per vivere, può sopportare tutti i come. ”
Per il caso in oggetto, suona amaro.
Queste cose succedono in tutte le parti del mondo dove esistono ancora territori incontaminati non ancora sfruttati economicamente.
La fortuna del nostro vivere nella “civile” Europa è che l’Europa, quando siamo nati, era già stata tutta sfruttata economicamente nei secoli precedenti per cui le tragedie erano ormai dietro le spalle, orrori dimenticati e suscettibili di essere ricordati solo in una prospettiva storica anestetizzata predisposta per farci sentire “civili” e “migliori” dei nostri antenati che a suo tempo fecero il lavoro sporco.
Ma quanto descritto in questo articolo è all’ordine del giorno in tutte le economie in via di sviluppo. C’è modo e modo di reagire, però. Ieri stavo vedendo un film indiano recente, Chakravyuh, basato su fatti reali, che descrive situazioni analoghe che riguardano larghe porzioni di territorio indiano dove il movimento maoista naxalita difende i nativi dalle costanti minacce di esproprio con le armi in pugno. Per il governo indiano si tratta ovviamente di feroci terroristi. E l’opinione pubblica mondiale, se anche esistesse, avrebbe sicuramente qualche dubbio a difendere chi si difende sul serio anziché solo a parole o, magari, suicidandosi e semplificando così il lavoro al nemico.
La verità è che nella vecchia Europa noi cittadini siamo ormai “disinnescati” dalla nascita, imbelli, sempre più incapaci di reagire e dunque predistinati alla scelta della viltà civica come attitudine di default.
L’ha ribloggato su barbatustirolese.
I crimini dell’Occidente cosiddetto civilizzato nel confronti dei “nativi” non avranno mai fini perchè a loro danno c’è la violenza, anche quella armata.
In Egitto e non solo i cittadini sono per le strade ed in Italia no perchè non solo gli Italiani non sono mai stati un popolo ma un solo un gruppo di persone che, per caso, abitano sullo stesso territorio e parlano, più o meno, la stessa lingua ma non hanno niente altro in comune perchè, sin dalla sua nascita, l’Italia è stata governata dalla monarchia e dai fascisti quaquaraquà!
E la tradizione continua. C’è da chiedersi cosa scriveranno gli storici sulla proroga dell’ultimo settennato che era già da dimenticare prima, figuriamoci adesso!
Noi non abbiamo mai avuto e non avremo una piazza in cui una ghigliottina lavori a ciclo continuo, h24, sino a fare piazza più o meno pulita almeno dei delinquenti che hanno fatto politica negli ultimi 50 anni!
Se ci sarà,mi candido volontario, senza ripensamenti, per sganciarne la lama senza provare alcuna emozione!