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Squinzi, ovvero i piromani che gridano alle fiamme

SquinziI piromani gridano alle fiamme. Squinzi da quell’altare sconsacrato di Confindustria grida al disastro e invoca le solite cose e soprattutto lo “stato amico”, espressione che insieme  alle “semplificazioni” ha un sapore quanto meno ambiguo. E rivendica che lì dentro, dentro gli augusti saloni di via dell’astronomia  si trova il vero capitalismo, qualunque cosa questo voglia significare.

Ma il problema è che ci troviamo in queste condizioni proprio perché lo stato è stato troppo amico, ha coperto le spalle a una classe imprenditoriale con poca o nessuna voglia di investire, garantendole dentro l’anomalo paradigma berlusconiano, un illusorio recupero di competitività attraverso la precarizzazione del lavoro e il taglio di diritti e di salari. Proprio lo Stato si è rivelato più che amico,  diciamo pure complice con le privatizzazioni -svendita, facendo intravvedere una terra promessa di poche regole, cercando in tutti i modi di dividere ed addomesticare i sindacati, di delegittimare il lavoro. Proprio lo stato ha fatto finta di non vedere la delocalizzazione selvaggia, si è di fatto astenuto sulle crisi industriali e ha perfino fatto finta di non accorgersi degli inganni di Marchionne e del suo piano di fuga dall’Italia, dandogli persino una mano.

Proprio lo stato troppo amico, troppo assente e troppo complice assieme ha creato l’ambiente anomalo nel quale più che alla competitività e all’innovazione che ne è un fattore necessario, si è pensato agli investimenti finanziari, ai paradisi fiscali e ai beni personali. Un ambiente ultracapitalistico quanto a politiche e a prassi, ma senza l’elemento di stimolo e competizione necessario visto che il milieu politico, nella sua funzione di socio occulto, di beneficiato subalterno o di vittima designata di ideologismi liberisti, non è stato nemmeno capace di imporre misure minime di civiltà come a Taranto.

Altro che stato amico: Confindustria con il suo Tycoon di riferimento, con un’opposizione flebile, se non di facciata, ha di fatto occupato la governance del Paese. E se non è riuscita a imporre una diminuzione nominale delle imposte, una delle poche cose razionali, ciò è stato dovuto alla gigantesca evasione che pesa sui bilanci pubblici. Ora, con la crisi di  domanda, tutte queste logiche presentano il conto: il baratro di cui parla Squinzi è stato scavato da loro.

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