Andr« Che cosa ricordare di Lei? Durerà un po’ più, un po’ meno, ma passerà senza lasciare traccia…». Questo scriveva Moro di Andreotti dalla prigione delle Br, amareggiato per la militanza del divo Giulio tra le file della non trattativa ad oltranza, così contraria alla sua natura da farvi scorgere un tornaconto personale e un maligno disegno. Si lo so che è noioso scrivere ancora di Andreotti dopo una giornata di messa cantata a reti e giornali unificati, ma è proprio questo che mi spinge a farlo, la coincidenza tra quel giudizio di Moro e la realtà: dopo aver ingombrato la scena per sessant’anni, tutto ciò che c’è da dire si riduce a quelle tre o quattro cose risapute, il processo per i contatti con la mafia, le battute entrate nel proverbialismo banale, il cinismo, la spregiudicatezza, l’ironia, la freddezza. E naturalmente i misteri, un’ovvietà per qualsiasi persona che sia rimasta con le mani in pasta per sei decenni.

Finché era in vita tutto questo entrava a far parte di una mitologia del potere un po’ familiare, un po’ inquietante , che veniva tradotta con la coda di Belzebù nelle vignette, ma ora che è morto non si sa davvero cosa dire, se non che è durato con tutti e con tutto, mafie, massoneria e banchieri compresi.  Ma di lui non si ricorda un’idea, un progetto, una battaglia politica, un ideale, un sogno, nulla che non fosse un paziente e ossessivo tramare, tessere inciuci, essere il crocevia di altro e da questa funzione trarre il proprio potere e la propria influenza. E’ stato davvero imbarazzante assistere a una inevitabile commemorazione -fiume del politico più longevo e più discusso della Repubblica senza che in realtà ci fosse molto da dire. Ma ancora più imbarazzante è stato il fatto che si sia evitato di dire ciò che si poteva: che Andreotti ha incarnato dagli anni ’60 in poi il cinico fatalismo della politica italiana intenta  a mediare tra tutto e tutti, dentro e fuori il Paese , lasciando le elaborazioni politiche come carta da regalo per nascondere l’autoreferenzialità del potere. Andreotti è durato tanto perché era il più adatto a questo mondo.

Che infatti ha cominciato a tralignare scompostamente man mano che il contesto in cui tutto questo era stato possibile, ossia la guerra fredda, si è attenuato e infine ha cessato di esistere con la caduta del muro. Da allora la mediazione ha lasciato il posto alla compravendita fra tutto e tutti,  il compromesso ha ceduto il passo alla consociazione e il tirare a campare è divenuto la stella polare di un ceto politico man mano tramutatosi in casta. Andreotti in fondo non è mai stato vivo come adesso, nonostante sia morto. E come dicevo ieri più che nel passato è nel nostro presente e nel nostro futuro. Abbiamo le larghe intese che furono inaugurate proprio da lui, non come strategia, ma come pratica e leggo che ieri c’è stato un incontro segreto fra Renzi e Barca. Una volta diffusasi la notizia del vertice conviviale, immagino a spese dell’erario fiorentino, l’ex ministro che dovrebbe essere uno dei ricostruttori della socialdemocrazia ha rivelato: “Vedo una complementarità tra me e Renzi e certamente un comune impegno a lavorare nel Pd”. Parole che di per sé non vogliono dire niente, ma che alludono al permanere degli equivoci nel partito democratico. La coda di Belzebù rispunta, il signore delle mosche regna indisturbato. Il pugno di mosche che ci rimane, appunto dopo una commemorazione che dovrebbe essere quella di noi stessi e di questo disgraziato Paese.