roma_manifestazioni_elezione_quirinale_3_1Anna Lombroso per il Simplicissimus

Una volta un dirigente del Pci cui piacevano –anche troppo – le donne, che amava la buona tavola, che si era comprato un sandolo, non Icarus, una barchetta per andare navigando in laguna disse: la differenza è che noi rinunciamo a tutto questo per andare in sezione, stare coi compagni, incontrare la base.
I compagni, quella base, che controllava, sorvegliava, esigeva, reclamava. Con la quale i dirigenti sottoscrivevano un patto anche in tempi di centralismo, cui andavano a rendere conto, che temevano e blandivano. Poi si decise di non chiamarsi più compagni, ripudiando la confidenza e il ragionare insieme di chi spezza lo stesso pane e sogna lo stesso sogno di affrancamento dallo sfruttamento, di libertà, di diritti.

Ieri il Pd si è ricordato – si è detto – di avere una base di doverci fare i conti. Una base non abbastanza fidelizzata dalle primarie, liturgia perfettamente integrata nella logica del porcellum, non sufficientemente addomesticata dalla procedura pallidamente e occasionalmente imitativa della democrazia, che ieri ha sollevato la testa in un impeto di rabbiosa ribellione.
Ma ieri anche la base si è ricordata di esserci. Non so se dobbiamo essere sorpresi e gratificati dalla tardiva autocoscienza, se dobbiamo dare fiducia al risveglio da un letargo di una militanza che – sia pure con potenti erosioni anche elettorali – ha digerito il silenzio e l’inazione sul conflitto di interesse, ha tollerato le leggi ad personam e i lodi, i condoni e gli scudi, per malinconico ripiegamento o per indiretta correità, che ha accettato i tecnici, le “riforme” della Fornero, le manomissioni della costituzione, il commissariamento europeo, le tenebre stese sui diritti, il Tina senza remissione delle politiche di un regime al quale il loro partito si è assoggettato in assenza di un pensiero indipendente capace di disegnare un’alternativa allo stato di necessità, al rigore, a una crisi usata per cancellare la fastidiosa democrazia.

Meglio tardi che mai. Ma certo che se è beneficamente contagioso il bisogno di contare sulle scelte, l’impulso a esprimersi e a battersi contro qualcosa ch si sente come ingiusto e dannoso, lo è altrettanto l’indole a sentirsi rassicurati dalla contiguità con il potente e dalla frequentazione con le sue stanze remote e separate, a sentirsi rafforzati dall’appartenenza a un’enclave protetta e inclusiva. Meglio tardi che mai. Il risveglio è gradito quale ne sia la pulsione e quali ne siano le modalità, scendere in piazza costringe a mescolarsi con altri, magari proprio con quelli che ieri manifestavano per difendere la loro ultima protezione.

Meglio tardi che mai. Anche se i ridestati si accontentano di una scelta non certo apocalittica, preferendola a una candidatura di un loro esponente autorevole e credibile, che avrebbe la macchia di essere proposta e scelta da quelli che sentono come i loro nuovi antagonisti.
Piuttosto che niente è meglio piuttosto, dice un vecchio proverbio, realistico e pragmatico, come rivendicava di essere il Pd. Invece piuttosto che niente, in democrazia, è meglio tutto: politica, partecipazione, diritti. Piuttosto che niente, è meglio non accontentarsi del meno peggio.