finocchiaro by PatriLa frase della Finocchiaro infastidita dalle contestazioni su Marini: “non capisco cosa voglia questa gente”, vale più dei milioni di parole che vengono spesi sulla crisi del PD. E’ una finestra panoramica aperta su un ceto dirigente ormai chiuso in se stesso, intento ai propri interessi e privilegi e del tutto distaccato dal proprio elettorato, ma anche dalla costellazione di idee e progettualità politiche che dovrebbe esprimere. Un ceto dirigente che è stato completamente spiazzato dall’emergere del grillismo, non tanto per la necessità di dover trattare alla pari con dei “parvenu” poco esperti di pratiche e prassi legate agli arcana imperi, quanto per lo scompaginamento di quella logica bipolare che permetteva di suscitare facilmente i sentimenti di appartenenza e di giocare sulla più elementare dialettica amico-nemico. Il terzo incomodo ha reso il gioco più complicato e ha rivelato una classe dirigente inadeguata a giocarlo.

Del resto per molti anni questa progressiva trasformazione in casta, in razza padrona ad imitazione di quella democristiana, si è consumata al riparo dell’opposizione a Berlusconi, più presente nelle parole che nei fatti; così come dietro il paravento di nequizie di Arcore, è stata anche mimetizzata la perdita di idealità, lo sfaldamento progettuale e l’adesione alle idee guida liberiste. Ma con la crisi e il declino del Cavaliere, avvenuto più che nelle urne nell’immaginario, tutti i limiti e la modestia del ceto dirigente del centro sinistra hanno cominciato a mostrarsi: dalle primarie ai referendum appoggiati obtorto collo all’ultimo minuto, sono cominciate le scosse telluriche che tuttavia sono state ignorate fidandosi della potenza di Berlusconi nel suscitare repulsione e dunque anche appoggio ai vizi e alle insufficienze della classe dirigente. L’inasprirsi  della crisi, l’abbandono narcotico nelle braccia di Monti hanno però mutato radicalmente la situazione ed esigono non solo il ritorno a un minimo di idee chiare e distinte sulla società italiana, ma anche una dialettica interna ed esterna molto più sofisticata:  l’idea di cavarsela con un Marini qualsiasi, dettato da Berlusconi e imposto in direzione dagli eterni ras ha subito risvegliato una base che al contrario del vertice sta acquisendo una consapevolezza che pareva scomparsa.

Ecco da dove nasce la stizza della Finocchiaro che è un po’ l’allegoria vivente di questa classe dirigente arrogante e barricata nel passato oltre che nei suoi giri di potere. In effetti la Finocchiaro non capisce proprio cosa voglia la base e come osi mettere bocca su deliberazioni prese dal raffinato pensatoio piddino. Qualcosa di straordinariamente stolido, così come è patetico il “boh” di Bersani ieri alla prima votazione e inqualificabile l’opportunismo renziano nel trasformarsi nel giro di sei ore da entusiastico fautore dell’inciucio a nemico di Marini che appunto era il garante delle larghe intese.

La vecchiaia non è sempre questione di età. E tuttavia in questo caso, nella ribellione al pateracchio con il Cavaliere, è venuta alla luce, forse mai così chiara, la differenza tra un vertice legato alle ritualità di sempre e la capacità di una base in grado di mobilitarsi attraverso la rete. Insomma la frattura ha attraversato anche un divide generazionale tra chi usa la nuova comunicazione e chi invece magari la conosce, ma non la capisce. Dieci anni fa Marini sarebbe probabilmente passato e se non lui il personaggio coi baffi che magari lo voleva usare come apripista. Oggi non è più possibile: non tutti i Grillo vengono per nuocere.