Anna Lombroso per il Simplicissimus
Non ho mai subito la fascinazione – ingenua – dell’agorà cibernetica, di un sistema politico in soccorso o sostitutivo della languente democrazia, caratterizzato da referendum istantanei come il Nescafè, da consultazioni perenni dei naviganti/cittadini/elettori, una push-botton democracy, poco interlocutoria in realtà se il manifestarsi dell’opinione finisce per limitarsi a un si o a un no in risposta a domande comunque poste dall’alto. Eppure, a una decina d’anni dalle fantasiose esercitazioni americane su un “congresso” virtuale in sostituzione di senato e camera, con i cittadini legittimati a decidere sulle leggi tramite voto elettronico, Orwell in Atene continua a ammaliare chi vorrebbe affidare alle tecnologie della comunicazione la funzione di costruire dal basso una nuova democrazia dei cittadini, dimenticando il rischio di dare luogo anche a un controllo capillare e a una sorveglianza attiva. E basta pensare alla rivoluzione viola, alla primavera araba, segnate dal protagonismo delle reti sociali, ma macchiate dai continui attentati alla liberà, attraverso iniziative volte a rendere più stringenti i controlli sui cittadini.
Ma tra luci ed ombre è comunque evidente che grazie alle nuove tecnologie, è la vita che scaturisce dallo schermo, invade la società, ridefinisce sfera pubblica e privata e disegna nuove forme e una nuova distribuzione dei poteri.
Lo si è visto tra ieri e oggi. La dirigenza del Pd, quella che ha tenuto le sue “suicidarie” al chiuso del vecchio cinema, ricorda quello spot della pubblicità progresso con gli attori che si tappano le orecchie strillando per non sentire le voci di fuori. E probabilmente anche per non sentire le voci di dentro, antichi riecheggiare del passato, fantasmi della storia, quelle di maestri negletti e dimenticati, vocazioni slealmente tradite, rappresentanze dimenticate.
Non è un caso che la rete sia stata percorsa da un fermento in appoggio a chi da anni ha sollevato il tema del riconoscimento della cittadinanza, qualcuno forse più riconoscibile nella rete che sui media tradizionali. E promosso da attivisti che della rete hanno fatto il loro partito, in una forma di cittadinanza digitale separata.
Ma c’è da immaginare che mentre Bersani e i suoi cari si tappavano le orecchie, quello che restava del tanto propagandato popolo delle primarie si sia messo dentro al gioco di interazioni, connessioni, dentro alla trama di scambio e identificazione di un pensare comune, perentoria ed immediata, aerea ma potente, che è andata sostituendo le sezioni, i circoli, i bar, le piazze, sequestrate da un ceto che lavora solo nei cantieri della sua sopravvivenza in vita e della conservazione dei suoi privilegi.
Una delle accuse mosse alla rete è quella di esercitare la damnatio memoriae, la condanna e restare su google perennemente come i sacchetti di plastica che soffocano il mare. E qualcuno sostiene che sarebbe legittimo dare forma a difese nuove, al diritto all’oblio e qualche volta al diritto di non sapere, per tornare alla normalità, liberi dai veleni del ricordo. Ma anche quelle tossine sono preferibili alla dimenticanza dei propri obblighi, alla rimozione del proprio mandato. Lo ricordi chi guarda alla rete come al gioco ingenuo e rumoroso di un popolo bambino da guidare e zittire. Possono tapparsi le orecchie, ascoltare solo le sirene del potere, impareremo a gridare più forte
Non sono mai stata scurrile nel parlare.
Purtroppo, ora, di fronte al PD non ho altra immagine che questa: esplosione di merda da un intestino pigro con diverticoli strombazzanti aria
fetida.
A caldo dalla solenne bocciatura di Franco Marini al primo scrutinio. E’ stato perpetrato un vulnus insanabile nei confronti della democrazia italiana e della Democrazia tout court, quando, ieri sera, dentro un cinema romano, il pd apponeva la propria firma sul suo certificato di morte, e B. reggeva l’esanime polso del cadavere per apporvi quella sigla. Si parla di urla e schiamazzi, tipo assemblee tardo-liceali A.D. ’77 (non escluse le canne…). Non contenti di questi casi di scuola da trattato di psichiatria multipolare, tutti a casa del caro Enrico Letta a farsi dettare la linea da B. Stamane,m al primo scrutinio, tra lazzi e sberleffi (Giorgio Napolitano, Monti, Cancellieri, Giulio Napoliatano & Mara Carfagna – voti dispersi, ineleggibili perché non cinquantenni, Umberto Ranieri, l’immancabile scheda nulla con l’immortale frase che ci perseguita dalle prime elezioni per il Colle, cioè “NANO MALEDETTO NON SARAI MAI ELETTO!” – era per Fanfani, allora, oggi è rivolto a uno tra Berlusca o Brunetta… – poi un paio di ‘Franco Marino’ giù quorum, giù, Prodi, D’Alema, Finocchiaro, Paolo Bolognesi -?- sino a un paio di burloni con un ‘Valeria Marini’, eleggibile: c’ha più di cinquant’anni, anche se lei ne dichiara una mezza dozzina in meno, sino alla bischerata del Conte Raffaello Mascetti, quello della supercazzola di ‘Amici miei’).
Oggi sarà fumata nera, penso. Finita la seconda chiama e lo scrutinio con una serie di schede bianche e di nomi interssanti quali Topolino, Pluto o Nonna Papera (eleggibili, godenti cittadinanza, diritti civili, e cinquant’anni compiuti, e soprattutto non favorevoli a Governi tecnici per salvare le pudenda a Berlusconi), visto che Marini l’hanno arso vivo come una strega beccata in un sabba nel Trecento in una pira di arbusti dal nome Chiamparino e Rodotà, forse si convergerà su Prodi, dopo una notte dei lunghi coltelli all’interno del pd ( pd= acronimo che richiama una bestemmia che costò il pubblico ludibrio a Leopoldo Mastelloni trent’anni orsono per averla profferita in tv; io dico solo ‘per dindirindina’, mi tengo in pancia gli epiteti che mi sovvengono…).
Unica certezza: da domani, finito il terzo o il quarto scrutinio, avremo forse un Presidente della Repubblica. Di certo al posto del ‘per dindirindina’ avremo un mostro informe bicefalo, o due partiti (uno berlusconiano, l’altro, timidamente un po’ più a Sinistra). Scissione di fatto. Bersani, PD= Pronte Dimissioni!