Ma le probabilità che Rodotà o Zagrebelsky o Strada (su Gabanelli, perdonatemi, ma non sono proprio d’accordo, è una candidatura solo d’immagine e di immagine sbagliata) possano arrivare al Quirinale sono davvero minime: l’area ex margherita, forte del berluschino Renzi che ha strappato alla Finocchiaro la cosa più esatta che la signora abbia mai detto in trent’anni di politica, voteranno per un presidente di inciucio, per un simil Napolitano che garantisca Silvio e l’insieme della casta. D’Alema l’amico della bicamerale o ancor meglio Amato o qualche altro vecchio arnese compromissorio. Guardandosi bene da dare l’appoggio a giuristi o difensori della Costituzione meno noti come Cassese o Gallo che emergono nelle frenetiche peregrinazioni bersaniane.
L’unico miracolo effettivamente possibile, se si arrivasse oltre la quarta votazione, sarebbe l’elezione di Prodi il prudentissimo avversario dell’anomalia berlusconiana, al tempo stesso personaggio di cui l’Europa, questa Europa, potrebbe fidarsi e uomo non mal visto in Vaticano, dunque potenzialmente “forte” se si dovesse arrivare a uno stallo. Ecco ciò che resta di tanta speme. Anche se in tutta franchezza – ma con la parzialità di uno che gli scucì perigliosamente un trenta e lode in una giovinezza così lontana che sembra una favola, il racconto di un pazzo – sarebbe almeno in grado di affrontare meglio degli altri candidati il maelstrom monetario ed economico al quale stiamo andando incontro più rapidamente di quanto non si pensi. Certo con lui al Quirinale la formazione di un governo sarebbe ardua e si tornerebbe alle urne, cosa che i parlamentari di certo non vogliono.
Insomma persino il meno peggio tra la nomenclatura diventa un azzardo. Temo che dovremo bere fino in fondo il calice del berlusconismo-montismo.