Mentre il nostro governo per gli affari scorrenti ha tirato fuori un Def da far invidia ai bugiardini delle case farmaceutiche, la settimana è stata sempre più all’insegna dell’uscita dall’euro. Dopo Soros anche l’influente Wolfgang Münchau su Der Spiegel comincia a ritenere inevitabile l’ uscita dalla moneta unica a meno che non accada una sorta di miracolo e i Paesi del Nord non accettino la condivisione del debito attraverso gli Euro bond. Una prospettiva del tutto irrealistica , ma senza la quale l’Italia, la Spagna, la Francia e gli altri Paesi in crisi non avrebbero la minima possibilità di farcela: sono in trappola e su di loro non potrebbe che abbattersi nuova povertà. “Sì puo’ fare il necessario aggiustamento all’interno dell’unione monetaria, ma questo richiede un accentramento globale di tutta la politica economica. Gli Euro-bond sarebbero solo l’inizio. Per fare questo non vedo alcuna realistica opportunità politica. Se rifiutiamo questa strada, allora dovremmo essere onesti e dire: basta con l’unione monetaria”.
Però c’è un problema: come evitare che la fine dell’euro non comporti oltre ai problemi finanziari anche la fine dell’Unione Europea? “Se fossero gli stati del sud a uscire dalla moneta unica ci troveremmo in una situazione caotica. Il debito sarebbe ripagato in Euro o in moneta nazionale? Ci sarebbe un assalto alle banche? Ci sarebbero disordini politici?” Münchau a questo punto si dichiara d’accordo con Soros: il modo migliore per venire fuori da questo cul de sac sarebbe che fosse proprio la Germania a ritornare al marco. “Naturalmente il nuovo D-Mark si apprezzerebbe notevolmente. Ma ad una rivalutazione effettiva si sarebbe comunque arrivati in un modo o nell’altro.”
Questo non implicherebbe turbolenze particolari, riequilibrerebbe la situazione in Europa oggi gravemente sbilanciata ridando fiato alle industrie della periferia, eliminerebbe quelle tensioni che oggi rischiano di far saltare tutta la costruzione continentale e metterebbe definitivamente al bando le filosofie dell’austerità che servono appunto ai paesi ricchi per evitare di mettere in comune i debiti pubblici. Non c’è bisogno della sfera magica per dire che proprio questo sarà il tema sottotraccia della prossima campagna elettorale tedesca con la partecipazione di un partito “Alternative fuer Deutschland” che chiede appunto l’uscita dalla moneta unica in nome del rispetto della sovranità nazionale.
Naturalmente ci sono resistenze, soprattutto da parte dell’apparato industriale che non vede di buon occhio il dover operare con una moneta più forte rispetto all’euro, oltre ad incertezze di natura geopolitica e alla pressione di quei centri di pensiero liberista che trovano nell’euro un’occasione unica per mettere in crisi lo stato, il welfare e i diritti. Ma se prevalesse la tesi di un’ uscita tedesca probabilmente si riuscirebbe a salvare l’Italia, la Spagna e la stessa Europa. Però queste elezioni, proprio per i temi che sono in campo, non possono essere considerate solo un affare tedesco, sugli orientamenti che prenderà il sistema politico in Germania conterà molto anche l’atteggiamento dei Paesi in crisi: se questi e in particolare l’Italia che è di gran lunga il più importante, avranno un atteggiamento condiscendente nei confronti dei diktat di Bruxelles, tale da far ritenere che nonostante tutto il gioco dell’euro da cui nel breve periodo la Germania ha ancora da guadagnare, può essere portato avanti, vincerà l’attendismo che per noi si chiama impoverimento e recessione. Se invece si mostrerà chiara la volontà di uscire dal gioco al massacro e dalle ricette velenose, allora piuttosto che rischiare la messa in comune del debito i governanti tedeschi decideranno di uscire.
Perciò in questi tempi di politica vorticosa e di governi da impostare, la nostra posizione sarà importante e forse determinante. Vogliamo rinunciare a battere un colpo anche questa volta come avvenne 18 mesi fa?
Non sono convinto che il problema sia monetario, anche se gli squilibri che si sono verificati per errati valori di cambio hanno influito sul fenomeno della differente risposta alla crisi nei vari Paesi dell’Unione. Infatti ritengo che la crisi sia una crisi di capacità di finanziamento dei sistemi pubblici e privati per carenze monetarie legate a fenomeni speculativi della finanza internazionale. La mancanza di corrispondenza tra i valori delle masse monetarie create e la possibilità di uso di queste ha condotto ad una rarefazione della moneta disponibile per il mercato “normale” o non speculativo. Certamente la crisi monetaria ha colpito più duramente chi aveva necessità di maggior credito (ad esempio il debito pubblico italiano), ma si poteva risolvere il problema con azioni ben diverse da quelle messe in atto dalla BCE che si è spaventosamente indebitata per evitare il default del debito pubblico dei paesi PIIGS con la sola finalità di salvare le banche. Queste oggi fanno i bilanci solo con la differenza tra interessi passivi del debito verso BCE e attivi per i crediti verso gli Stati. Questa è una situazione esplosiva perché in caso di default di un solo Stato la BCE verrebbe travolta. Le azioni di cosiddetta austerità sono solo azioni difensive derivanti da errori macroscopici di gestione del sistema finanziario dell’Europa interpretato dalla BCE in modo totalmente fuori da ogni regola economica. Si può uscire da questa spirale solo con l’abolizione delle liberalizzazioni bancarie tornando alla legge del ’36 che impediva alle banche la speculazione e facendo tornare il controllo delle banche centrali sulle singole attività bancarie e non, come adesso, in un indistinto calderone di operazioni che non permettono di distinguere, se non con complesse analisi di bilancio, attività difensive, speculative e di credito ordinario. Importante sarebbe ripristinare nelle banche le sezioni speciali che esistevano per evidenziare quanta attività era bancaria a breve, a medio, a lungo termine, quante di finanza creativa e l’origine delle risorse impiegate come capitale proprio bancario e di prestito. La crisi cesserebbe immediatamente se oltre a queste operazioni venissero create da parte di imprenditori, cooperative di produzione e lavoro nuove banche specializzate in credito alle imprese ed alle cooperative utilizzando il sistema dei fondi rotativi (ricordiamo il successo di questo sistema nella zona di Trieste nell’immediato dopoguerra). Lo Stato, se non volesse impegnarsi nel capitale bancario, potrebbe limitarsi anche solo ad attivare i fondi di garanzia necessari per non imporre eccessive garanzie (e quindi costrizioni) alle imprese che richiedano il credito. Il problema della moneta si dovrebbe risolvere solo dopo una importante ripresa economica e non in piena crisi in quanto avrebbe, in ogni modo, un effetto di aggravamento della crisi.
Il ragionamento è semplice. Quando Prodi ha firmato la nostra condanna a morte trascinandoci nell’euro, se il nostro debito era di mille, con l’entrata nell’euro è diventato duemila. Da qui l’arroganza della Germania che ci ha messo a stecchetto per ripianare un debito gonfiato e determinando con l’austerità l’arresto del nostro sistema produttivo. Bisogna uscire dall’euro e rinegoziare in lire il nostro debito. La Germania finirebbe così di giocare il ruolo della super potenza nel cuore dell’europa superiore attualmente agli stessi Stati Uniti d’America. Andando avanti di questo passo, non solo è a rischio la nostra democrazia, con uno stato sociale che ormai non c’è più,ma con il prelievo fiscale al quale siamo sottoposti, con una disoccupazione senza precedenti, con piccole e medie imprese ridotte al lastrico, come si farà a ripianare il debito?L’euro lo difendono coloro i quali mantengono ancora una posizione di garanzia all’interno di questo sgangherato paese e lo vuole chi fa il frocio con il culo degli altri:speculatori che usurando gli stati fanno soldi su soldi.
Sono 6 mesi che dico che se qualcuno deve uscite dall’euro questa deve essere la Germania e che bisogna fare l’Europa dei Poveri ( intesi come paesi).