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Il partito della paura: consultazioni per il governo

Paura 1Anna Lombroso per il Simplicissimus

È la nuova età dell’incertezza questa, di una precarietà senza fine che a sua volta alimenta la paura. Come un moderno Leviatano addomesticato, messo a guardia della vita civile, lo stato sociale doveva porre la società al riparo dalle tendenze distruttive dell’economia di mercato. Una relativa stabilità del lavoro, la possibilità di accedere a un servizio sanitario nazionale, affrontare l’«autunno» della propria vita con relativa tranquillità grazie alla pensione avevano ammansito la belva dell’insicurezza. Ma ora le gabbie si sono aperte, la fiera si è scatenata con gli spettri del passato, le piaghe e le minacce.
È una società del terrore quella che diagnostica la relazione 2012 dei servizi di intelligence italiana. Nuove minacce dalla criminalità informatica e possibili tentativi di assalto da parte di gruppi esteri industriali al “made in Italy”. Pericolo infiltrazioni mafiose e criminali per l’Expo 2015 lombardo e nelle Grandi opere. L’integralismo e la minaccia dei “self starters”, fanno parte di un inventario eclettico di insidie oscure e fosche.

La minaccia cibernetica rappresenta, al momento, la sfida più impegnativa per il sistema Paese”, dicono gli 007 italiani, secondo cui non solo “gli effetti potenziali sono in grado di produrre ricadute peggiori di quelle ipotizzabili a seguito di attacchi convenzionali e di incidere sull’esercizio di libertà democratiche essenziali, ma “gli autori, le tecniche di attacco ed i bersagli mutano più velocemente delle contromisure. Le minacce informatiche, sempre più sofisticate, gravano su tutte le piattaforme, dai sistemi complessi e strutturati dello Stato e della grandi aziende ai computer e agli smartphone dei singoli cittadini”. E che dire del probabile assalto da parte di gruppi esteri industriali al “made in Italy”, della cui sopravvivenza devono gli unici ad essere persuasi.
Non esisterebbero “reti autoctone strutturate” o “cellule organiche a gruppi estremisti attivi all’estero ma si moltiplicherebbe il rischio rappresentato dai self starters dell’integralismo: “singoli soggetti” o “gruppi isolati” potrebbero “autonomamente decidere di ‘passare all’azionè contro soft target o obiettivi simbolo, sulla spinta della propaganda che incita al martirio contro ‘cristiani, apostati ed ebrei’ specie in relazione ad eventi percepiti come un aggressione o un’offesa all’Islam”.

L’Expo milanese del 2015, le grandi opere di edilizia pubblica (“specie nella riqualificazione delle rete stradale, autostradale e ferroviaria”) e il settore delle energie rinnovabili nel mirino della criminalità organizzata di stampo mafioso, la cui capacità di infiltrazione appare “sempre più pervasiva su tutto il territorio nazionale” sottolineano i servizi segreti, secondo cui “l’accentuata mobilità territoriale dei sodalizi consente loro di inserirsi agevolmente in circuiti collusivi in grado di soffocare l’imprenditoria sana ed inquinare le iniziative di sviluppo anche attraverso l’aggiramento della normativa antimafia sugli appalti”.
Largamente inascoltati i servizi mettono in guardia: “i gruppi criminali continuano a ricercare contatti collusivi nell’ambito della pubblica amministrazione, funzionali ad assicurarsi canali di interlocuzione privilegiati in grado di agevolare il perseguimento dei loro obiettivi economici e strategici, quali il controllo di interi settori di mercato e il condizionamento dei processi decisionali, specie a livello locale”.

In particolare, “crescenti profili di rischio si sono registrati in relazione ai frequenti casi di rapporti strutturali tra gruppi criminali di diversa matrice (specie tra cosche ‘ndranghetiste, cartello casalese e Cosa nostra), spesso nel contesto di ampi network relazionali comprendenti soggetti imprenditoriali e professionali (legali, commerciali, finanziari), amministratori locali e istituti di credito. E la crisi economica rafforza “l’azione aggressiva di gruppi esteri” che puntano a acquisire “patrimoni industriali, tecnologici e scientifici nazionali”, “marchi storici del ‘made in Italy, banche e istituti finanziari, a tutti i livelli territoriali.

Ma la sirena d’allarme suona soprattutto per il rischio eversione: “L’incremento delle difficoltà occupazionali e delle situazioni di crisi aziendale potrebbe minare progressivamente la fiducia dei lavoratori nelle rappresentanze sindacali, alimentare la spontaneità rivendicativa ed innalzare la tensione sociale, offrendo nuove opportunità di inserimento ai gruppi antagonisti già territorialmente organizzati per intercettare il dissenso e incalanarlo verso ambiti di elevata conflittualità”. Non si parla di forze politiche presenti in parlamento che lanciano iniziative di criminalizzazione del potere giudiziario, ma di “una intensificazione delle contestazioni nei confronti di esponenti del governo e personalità di rilievo istituzionale, nonché rappresentanti di partiti politici e sindacati considerati non sufficientemente impegnati nella difesa dei bisogni emergenti”. “Dinamiche violente – si legge nella Relazione – hanno continuato a caratterizzare la mobilitazione contro l’Alta Velocità in Val di Susa, assurta negli ambienti antagonisti a modello esemplare di lotta”. E continua: “Un eventuale inasprimento delle tensioni sociali legate al perdurare della crisi” potrebbe rafforzare le componenti eversive dell’estremismo marxista-leninista, oggi marginali…. Ciò in un ottica che individua quale potenziale e remunerativo bacino di reclutamento, oltre che la storica ‘classe operaia’, anche il ‘nuovo proletariato’, tra le cui file particolare attenzione viene riservata ai lavoratori extracomunitari”.

Se proprio volevano mantenerci in uno stato di soggezione tramite la paura, bastava ci facessero leggere i dati Istat, usciti in contemporanea, su disoccupazione, calo dei consumi e esplicita, evidente neo-povertà.
Ma come scrive un teorico del panico di regime, meno liricamente ma più efficacemente di Bauman, Jaume Curbet, espressioni generiche come “insicurezza urbana”, “criminalità organizzata”, “disastro ecologico”, soprattutto “terrorismo” creano un tipo di paura che molto più di quella per i tiranni del passato tocca le corde più ancestrali ed è quindi più estrema e meno risolvibile, rendendo il bisogno di sicurezza un bisogno mai appagato tanto più che nemmeno lo Stato “spodestato” riesce a trasmettere sicurezza attraverso la paura della legge.
L’indistinta paura si traduce in soluzioni altrettanto indistinte, per colpire l’immaginazione dei cittadini più che risolvere la loro insicurezza, con una funzione essenzialmente sedativa e che favoriscono misure autoritarie, decisioni esemplari, soluzioni effimere di controllo sociale, in totale contraddizione con le procedure e la deliberazione democratiche.

Nell’era dell’insicurezza indeterminata e globale, ci propongono come “ sicurezza” lo stato artificiale che ci viene dal credere di vivere in un ambiente immutato, uguale a se stesso. Quindi ogni turbamento dell’ordinario status quo è visto come fonte di pericolo, di timore: alimentarli è un business, economico e politico. L’odierna insicurezza è nutrita dalla retorica dalla paura del diverso: zingaro, nero, extra-comunitario, musulmano, comunque “altro” da noi, che suscitano più diffidenza di quella criminalità organizzata e spietata che strangola molto più della metà del nostro territorio nazionale. Perché la cultura dell’insicurezza trova un naturale alimento nelle politiche neoliberali, quelle che oggi godono di maggiore stima presso i nostri governi, politiche orientate principalmente a rispondere alle richieste di “ordine” di una popolazione spaventata più che a risolvere i problemi e i diversi conflitti che stanno all’origine delle varie manifestazioni di delinquenza. Le politiche di controllo sociale si sostituiscono alle politiche sociali, la richiesta di soluzioni trova risposte nella repressione, che ha bisogno di cittadini impauriti per essere legittimata.

La fisiognomica va forte nella mia famiglia. E devo ammettere che Grillo mi ispira una generica avversione fisica. Ma non più repulsiva di quella che mi suscitava Berlusconi, o l’altro fascista altrettanto dichiarato del comico genovese, Gasparri, o peggio ancora Alemanno. Ma ha ragione il Simplicissimus oggi: è la “diversità”, l’alterità del Movimento 5Stelle che vengono agitati come uno spauracchio, la formalizzazione della minaccia rappresentata dalla dissonanza con il sistema. E certamente provo un indiscutibile orrore per l’opaca alleanza con Casa Pound, per le candide ammissioni di rivendicata xenofobia, per certe affinità non solo “spettacolari” e folcloristiche con la prima Lega, che incontrano presso gli opinionisti altrettanta entusiastica ammirazione. Ma tra quelli che hanno votato quel movimento non c’è solo quello e non ci sono altri, diversi da noi, semmai ci sono “altri” e “diversi” da un ceto dirigente che ha reso palese inadeguatezza, incompetenza e attaccamento alle rendite di posizione che i grillini non hanno ancora avuto modo di mostrare. Ci sono i No Tav della Valle Susa e i no Tav in generale; ci sono gli antagonisti alle grandi opere, i protagonisti del referendum sull’acqua; la gente che si è battuta in piazza contro una politica dei rifiuti fatta di inceneritori e discariche e contro la cementificazione; ci sono gli studenti e gli insegnanti, un bacino sociale e anche elettorale schifato dagli strateghi del Pd perché è antagonista, si, ma a loro.

Vuol dire che tra loro – ma anche altrove, nell’astensionismo, nella delusione, nelle formazioni escluse da un sistema elettorale osceno, perfino dentro al Pd, marginale ma presente – circola, ancora indistinta, grezza, addirittura inconsapevole, una domanda di democrazia reale rispetto a una democrazia ormai solo formale. E vuol dire che se non esiste una netta contrapposizione tra un popolo tutto sano, tutto virtuoso e una classe dirigente tutta disonesta, tutta corrotta, c’è comunque un “ Paese” che esige trasparenza, superamento delle disuguagliane, rispetto dei diritti e un ceto che con l’inefficacia, la resistenza al cambiamento, l’incapacità di creare un’alternativa, si garantisce la sopravvivenza e i privilegi. E quel “Paese” formato da sconosciuti tra noi, formato da noi, può non aver paura.

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