Anna Lombroso per il Simplicissimus
Come quei mariti che dimenticano ostinatamente l’anniversario di matrimonio, all’Unità non se ne è accorto nessuno ieri, che si festeggiava l’ottantacinquesimo anno dal primo numero del quotidiano fondato da Antonio Gramsci.
Della data di nascita siamo certi, 12 febbraio 1924. Meno precisa la data di morte, che coincide forse con la festosa dismissione dell’appartenenza a sinistra, proclamata tramite intervista sul Pais dallo spericolato stilista del partito liquido, oppure prima, quando il giovanotto passato da praticante a direttore, pensò che la vendita porta a porta la domenica era arcaica e conveniva invece accludere sotto plastica gadget, produzioni filmiche più innovative e pop, magari Giovannona Coscialunga, o le figurine Panini. Ed anche la si potrebbe far risalire a quando qualcuno decise che bisognava essere concreti e pragmatici e che la critica ai governi si poteva addomesticare in cambio del regolare versamento dei fondi per l’editoria di “partito”, del quale ci si ricorda nel bene e nel male in occasione della trasmissione di 6.377.209 euro l’anno.
E dubito che qualcuno rammenti perché il giornale si chiama così, l’Unità. « Il giornale non dovrà avere alcuna indicazione di partito. Dovrà essere un giornale di sinistra. Io propongo come titolo l’Unità puro e semplice che sarà un significato per gli operai e avrà un significato più generale ».
E infatti non è più un giornale di partito, quel partito non c’è più, dimenticato e rinnegato proprio nella sua cifra più profonda, quella della vicinanza agli operai, quella della rappresentanza e della testimonianza dei lavoratori e del lavoro, oggi che il lavoro quando c’è è fatica, precaria, senza garanzie, senza sicurezze, senza diritti, oggi che gli eredi sleali di quel partito vivono di rendita e forse per questo proclamano con orgoglio che l’articolo 18 non è una priorità, che non lo è la rinuncia agli F35, che non lo è la riforma della riforma Fornero, che non lo sono i diritti a vivere, sposarsi, morire perfino secondo le proprie inclinazione e il dettato della propria inalienabile dignità.
Dal ‘91 data nella quale si cancella il sottotitolo, da “Giornale del Partito Comunista Italiano” a “Giornale fondato da Antonio Gramsci”, come con un tratto di penna, come a segnare un distacco vergognoso più che un’ansia di cambiamento, allo stesso modo poco a poco se ne cancella l’identità e il ruolo di “rappresentanza”, che di informazione, per non parlare di contro-informazione, non se ne fa proprio più.
Dopo il “delitto perfetto”, la chiusura del 2000, si susseguono respirazioni artificiali, con qualche sussulto e una lenta deriva di caduta delle vendite, delle quali a fronte del finanziamento pubblico, vengono pudicamente celate le cifre, cui corrisponde la miniaturizzazione del formato, un metà tabloid, evocativo di dinamismo, tempestività, ma che invece riecheggia solo una spending review alla casalinga.
La mattina spesso si vede in televisione un giornalista grigio, compostamente montiano nei modi e altrettanto sussiegoso. Ogni volta che lo vado passare mi chiedo chi sia finché non passa il sottopancia. Adesso so che quando mi imbatto durante un talkshow in una faccia anonima e irriconoscibile è lui, il direttore dell’Unità, cui va riconosciuto l’unico merito non invidiabile di far rimpiangere Concita.
Era il giornale di Pierpaolo Pasolini, Elio Vittorini, Salvatore Quasimodo, Italo Calvino, Massimo Bontempelli, Cesare Pavese, Alfonso Gatto, Paul Eluard, Louis Aragon, Federico Garcia Lorca ed Ernest Hemingway. Era il giornale che vedevi orgogliosamente arrotolato in tasca agli operai in sciopero o ai contadini di Avola, infilato nella sporta delle donne che si battevano per quei diritti amari e per quello ancora più indispensabili. C’è ancora ma è come se non lo vedessimo più, nemmeno fatto a barchetta in testa a operai che fischiano sulle impalcature. Quelli ci sono ancora ma è difficile sentirli fischiare.
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Io quasi solo andavo a lavorare con l’Unità in tasca della mia giacca, mi piacerebbe aver fotografato le faccie che c’erano in giro quando andavo a lavorare, ma non ero in una fabbrica ma in un ufficio di una multinazionale tedesca, era il 1960/65.
Anni dopo sono diventato un rappresetante della CGIL. La paura era palpabile da parte delle maestranze, ricordiamoci che allora c’era art. 18 e l’impossibilità di licenziare per qualsiasi motivo un rappresentante sindacale.
Ma con il 1968 le persone di sono fatte più ardite, siamo arrivati a scioperi, sconosciuti e inconsueti da parte dei lavoratori in quella azienda.
Ricordo con piacere quei momenti, sono stati formativi per la mia persona e ne sono lieto.
Rimpiango la fine che ha fatto quel giornale, buono fino a che ci sono stati Padellaro e Travaglio, ora sono al Fatto e io leggo il Fatto.
E cos’ha a che vedere l’attuale house organ del PD con il vecchio glorioso quotidiano di Gramsci? Bene che non se lo siano ricordato, millantare continuità con l’Unità sarebbe solo l’ennesimo affronto alla memoria. Vabbè che conoscendo la redazione dell’equivalente piddino di Libero – e il paragone lo faccio con tutto il disprezzo possibile per quel fogliaccio di propaganda – se lo saran dimenticati volutamente, perchè non sembri troppo di sinistra e spaventi l’elettore cattolico.
tutte le mattine vado al bar per un caffè, il bar in genere è pieno. la prima cosa che faccio è cercare un giornale libero. ci sono vari giornali nazionali, locali e sportivi. tutti sono occupati tranne l’unità. quello è sempre disponibile. e sono a ferrara.
Quando con linguaggio scialbo ma certo non benevolo MMonti si è vantato della sua formazione politica fresca fresca, nuova nuova e ha alluso al piddì come a una forza politica che risale al ’21 (penso approssimando per difetto comunque…) Bersani, che non ne azzecca una nemmeno col compasso, ha risposto piccato.
Più o meno ha detto che il suo era un grande progetto nuovo, talmente nuovo che non era stato capito.
E invece di vantare radici culturali robuste ha sciorinato la novità del suo partito democratico.
Sarebbe come dire che uno invece di vantare una biblioteca di famiglia tira fuori una playstation.
A una elettrice innervosita come me pare che si sia di fronte a una fregola di rinnovamento malnato ma cocciutamente perpetrato e molto affezionato alle sue pochezze.
La modestia culturale non è un difetto irrimediabile o genetico, ma esibirla come un vanto è forse una qualità?
Forse è un bene che il PCI sia sparito perché non è mai stato molto in sintonia con Gramsci. Il PD è solo un partito stalinista con un programma liberista malthusiano.
Non c’era nulla nel giornale cartaceo, su Fb e sull’edizione online c’erano delle foto.. come candeline..
Sulla pagina di facebook de L’unità, era ricordato. Nel giornale non so, ma lì c’era