Non è mai troppo tardi diceva il maestro Manzi, ma sbagliava, alle volte capita che sia troppo tardi. E Nichi Vendola rischia che la sua impuntatura su Monti appaia troppo tardiva e ancora una volta troppo amletica. Certo Bersani che fa la dichiarazione d’amore a Monti dopo essere stato assolto dai peccati di socialdemocrazia, nel confessionale della Bundeskanzlerei, fa impressione. E tuttavia non è ammissibile che il leader di Sel si accorga ora che il professore appartiene ad un “accrocco di liberisti e bigotti” o che Bersani quell’alleanza la vuole a tutti i costi. Oppure è costretto a volerla qualunque sia il risultato delle elezioni, perché sotto schiaffo della Merkel e dei poteri di ricatto che essa rappresenta.
Tutto questo è evidente da molti mesi, era persino scritto nella dichiarazione d’intenti delle primarie, è inciso sottotraccia nella stessa vaghezza di un programma sempre citato, ma che per gli italiani rimane topo secret, è scolpito nell’appoggio acritico dato ad ogni colpo di macelleria sociale, dichiarato mille volte dai notabili del partito e persino dai suoi rottamatori, rottamati a loro volta e risorti dopo tre mesi. E infine è diventato evidente con le pressioni dell’ambiente bancario e finanziario internazionale, con l’emersione ad orologeria delle vicende Mps e con l’assoluzione che si danno o che nemmeno si abbassano a dare, controllori distratti, complici, ricettatori. Talmente chiaro che Vendola non può dire di non aver visto: non ha voluto vedere. L’errore è stato fingere la cecità per non rischiare l’esclusione dal Parlamento, non rendendosi conto che solo con la paura di perdere molti voti a sinistra il Pd sarebbe stato indotto ad andarci piano con Monti, mentre con Sel già nel sacco avrebbe potuto agire con maggiore agio, strangolando elettoralmente l’alleato.
Adesso forse è troppo tardi: ci sono voluti quasi 14 mesi perché si compisse l’intero ciclo narrativo vendoliano: da quel 18 novembre del 2011 quando Nichi sostenne che “le dichiarazioni programmatiche di Monti rappresentano un profilo politico conservatore e anche un elemento di continuità con le politiche economiche e sociali del governo Berlusconi” fino all’accrocchio di liberisti di oggi. E in mezzo un tira e molla per non perdere il treno del Pd, ma nemmeno il proprio elettorato che invece è andato lentamente disfacendosi. Però è proprio in questa parte fra gli estremi che si ricongiungono che c’è tutta la subalternità della sinistra e del suo complesso di Stoccolma politico.
E se Bersani è il Giulio Nepote del prodismo, Vendola rischia di essere il Romolo Augustolo della sinistra.
Dove si dimostra come, con oltre il 40% di indicisi/astensionisti, con un nucleo davvero a sinistra impegnato sulla giustizia anche sociale (nonostante ancora numericamente contenuto e non ancora pienamente in gioco), con il Grillo a piazze piene e con le legioni di Silvio GiulioCesare Berlusconi che hanno già varcato il Rubicone e marciano, come non mai, verso l’agro romano… il cosiddetto voto-utile è solo uno slogan che vola basso come tanti altri.
A margine anche chi come me è non addetto alla politica, quella di Mps è sembrata ad alta orologeria, ma così va questa Italia.
Vendola doveva essere coerente ed attenersi al suo ruolo primigenio: dar via il culo.
La narrazione politica vendoliana, dopo amletici e ricorrenti dubbi, vorrebbe terminare su una poltrona.
Preferibilmente comoda.
Che ” il suo popolo” si stia squagliando è irrilevante al fine di ottenerla.
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