L’Eurispes disegna un Paese che pare non avere un futuro, privo di fiducia nella politica e nelle istituzioni e tuttavia incapace di ricostruirsi un percorso e una speranza. E dentro questo affresco a tinte fosche non stupisce che sia crollata anche la fiducia nel Quirinale che tradizionalmente è sempre stato un punto di riferimento per gli italiani, a volte nonostante la figura di certi inquilini. Anzi nell’ultimo anno proprio la presidenza della Repubblica sembra essere diventato il laboratorio alchemico nel quale si cerca di ridare prestigio alle istituzioni secondo una ricetta tutta napolitana: quella di negare le informazioni e la verità, come se in questo consistesse la dignità della carica.
Prodromi se ne erano già visti, ma tutto è diventato esplicito un anno fa, al momento della caduta di Berlusconi i cui contorni non sono mai stati chiariti soprattutto in relazione alla nomina di Monti a senatore a vita. Poi la discesa è proseguita con la proterva battaglia per nascondere la natura delle conversazioni telefoniche con Mancino e dunque anche un probabile tassello della trattativa stato mafia, come se la incerta prerogativa della inintercettabilità racchiudesse il prestigio della carica presidenziale. La quale invece – se è vero che non vi fosse nulla di compromettente nelle conversazioni -avrebbe guadagnato in fiducia e affidabilità da un’aperta rivelazione dei contenuti. E infine proprio in questi giorni l’intervento per smussare i contorni della vicenda del Monte dei Paschi.
Maroni dice che Napolitano è intervenuto per togliere il Pd dall’imbarazzo e certamente dentro le esternazioni presidenziali e il suo invito a “evitare cortocircuiti tra informazione e riservatezza delle indagini” c’è questo elemento, ma non mi sembra quello più rilevante anche perché a questo punto il silenzio stampa finirebbe per coprire responsabilità di altri personaggi, partiti e clan che potrebbero cogliere un ingiusto vantaggio dall’applicazione di un silenziatore. L’invito alla riflessione giunge infatti più che altro per evitare che Bankitalia venga trascinata nella palude delle operazioni misteriose e con essa chi doveva controllare e non lo ha fatto: Draghi in primo luogo per finire alla più modesta, cotonata e montiana Tarantola. Ancora una volta il prestigio dell’istituzione e dei suoi grand commis viene difeso attraverso il silenzio e non attraverso un’operazione verità.
Napolitano, insomma, sembra interpretare al meglio della forma, il peggio della sostanza delle diverse caste che compongono la realtà italiana, soprattutto la loro passione per il velo pietoso che dovrebbe salvaguardarne la reputazione. Come se il segreto e l’impenetrabilità non avessero solo un significato pratico, ma contenessero ormai anche il senso della loro legittimità. Però è come la verità che viene nascosta al malato grave perché viva una quotidianità inconsapevole e nemmeno sviluppi una forte volontà di guarigione che deve trovare in se stesso più che nei placebo e nei veleni che gli vengono dispensati.
Errata Corrige: bassa la popolarità del peggiorista, alta l’impopolarità, pardon…
Il peggior inquilino del Quirinale di sempre. Peggio persino di Cossiga, Leone e Segni padre. I primi due ebbero quanto meno il buon gusto di dimettersi prima della fine del mandato. Ha infranto una mezza dozzina di leggi ordinarie, e un’altra mezza dozzina di articoli della Costituzione (per tacere della vicenda delle telefonate osè con Mancino e dell’impropria – a volerla dire in eufemismi – nomina del laticlavio ‘ad mortem’ dell’immeritevole Professor De Grigiis).
Ai posteri l’ardua sentenza, anche se, fossimo una Repubblica appena sopra una bananiera, la sentenza dovrebbe spettare ai patrii Tribunali per alto tradimento ai valori costituzionali e un Parlamento appena appena semi-democratico avrebbe da almeno un anno avviato insieme al CSM ed alla Corte Costituzionale le procedure per l’impeachement.
P.S. Oramai l’impopolarità del minuscolo personaggio è talmente bassa che a cantarne le lodi è rimasto l’ultimo aedo morente, con barba color neve, fondatore di bollettini stile ‘Izvestjia’ pro-pd, che stravagato nelle comode poltrone del(l’ex?) nemico (?) Vespa narra le gesta pure dell’Avvocato, scambia il buon Decio Cavallo per Peppino De Filippo (Totòtruffa ’62), cultore del cinema d’essai come ben si vede, e fa manganellare Beppe Grillo dai suoi federali Maltese e Merlo per l’infelice battuta su Casa Pound, salvo pubblicare in prima pagina le articolesse del fascista conclamato Buttafuoco. La nappina del fez che portava da giovanotto, quando elevava entusiastici peana al modello di Silvio, alle volte fa dare di sbrego al nostro caro Barbapapà…
Da incorniciare:
Incarnazione del meglio della forma nel peggio della sostanza!
Tragica verità per il paese.