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Da Davos all’Australia, l’ottimismo degli idioti

davosBisogna essere ottimisti. Alla fine tutta la confusa scienza economica si riduce a questo psicologismo da strapazzo, in questa fede nell’aldilà della ripresa.*(vedi nota). Gli stessi officianti della santa messa del mercato hanno bisogno della teologia della crescita infinita affinché il turibolo non tremi: sono le stimmate inequivocabili di un’epoca giunta alla sua senescenza. E basta guardare le immagini di Davos dove un vecchio mondo si dà allo sci e a rozzi discorsi sul futuro, sotto l’egida di Medvedev e dei suoi alieni, per rendersene conto.

Ma naturalmente questa è solo la superficie, il potente apparato di illusioni è pronto a far credere che nulla è cambiato, che addà passà a nuttata e poi tutto ritorna come prima, con l’abbondanza di prima. Guai ad essere un po’ criticamente pessimisti perché questo guasta i mercati. Le materie prime si esauriscono preludendo a necessari cambiamenti di tecnologie e di assetti economici? Non importa, per il momento diciamo che non è vero. E infatti nell’ultimo anno è uscita notizia di mirabolanti giacimenti di petrolio e di gas che faranno degli Stati Uniti una seconda Arabia Saudita e ora anche in Australia sono stati scoperti nuovi giacimenti che vanno (accidenti che precisione) da 103 a 233 miliardi di barili. Un bengodi o comunque un rinvio di qualche decennio del finis pretrolei e forse anche una diminuzione dei prezzi.

Ma naturalmente tutto questo ben dio serve solo ad alimentare la fede e  l’ottimismo, la realtà è ben diversa. Tali giacimenti di consistenza assai incerta sono quasi tutti “non convenzionali” ossia di thight o heavy oil che si ricava attraverso le tecniche di hydrocracking oppure attraverso un complesso trattamento delle sabbie bituminose. Sono metodi molto costosi che oltre ad essere pesantissimi dal punto di vista ambientale, sia locale che globale, richiedono grandi investimenti e quantità previste di estrazione molto alte per essere appetibili allo sfruttamento. Ecco una delle ragioni per le quali tali giacimenti sono molto enfatizzati nelle quantità. Però anche ammettendo che i mirabolanti miliardi di tonnellate siano quelle più alte pronosticate, questo non significa affatto il ritorno all’abbondanza e per una serie di motivi che di solito non vengono fatti conoscere al grande pubblico.

Il primo è che i prezzi saranno comunque in ascesa, visto che mentre i pozzi tradizionali terrestri in declino produttivo del 4% l’anno, prevedono il costo di 20 dollari per barile e quello delle perforazioni marine dai 50 ai 60 dollari, l’oro nero ottenuto con i metodi non convenzionali va dagli 80 agli oltre 90 dollari, con un onere però crescente man mano che va avanti lo sfruttamento. Dunque i prezzi saranno destinati a salire man mano che il mix di idrocarburi vedrà aumentare la percentuale del non convenzionale, tanto più che la raffinazione di questo oro nero richiede alti costi di raffinazione.

Il secondo motivo è che le nuove tecnologie non permettono una velocità di estrazione simile a quella dei pozzi tradizionali, quindi le grandi quantità teoriche non conteranno un fico secco, perché in ogni caso i flussi saranno minori e saranno quelli a determinare la scarsità piuttosto che i miliardi di tonnellate evocati.

Il terzo motivo è che mentre per estrarre gas o petrolio da un pozzo tradizionale terrestre si consuma l’energia equivalente a un barile per estrarne 25 o 30 a seconda delle condizioni, per il petrolio da fracking o da sabbie bituminose il rapporto è di uno a cinque , nelle condizioni migliori, il che già sottrae un 20% alle riserve che se ne va tutto direttamente in inquinamento e Co2 . Già oggi con le molte piattaforme marine  in attività, la media è di 1 barile consumato per estrarne 15.

Questo senza dire che molte delle previsioni di picco e di consumo per il 2030 della International Energy Agency (IEA) si riferiscono per il 55% a progetti che nemmeno esistono. Senza dire che i Paesi dove il petrolio è ancora abbondante tenderanno sempre più a tenerselo e semmai a venderlo ai prezzi più alti possibili.  Senza accennare al fatto che anche includendo le ultime meravigliose scoperte nell’ultimo ventennio si è trovato un nuovo barile di petrolio ogni tre che si è consumato.

Petrolio e gas dunque ce ne sono ancora, ma non sono più quelli di una volta, verrebbe da dire. Non sono più la fonte di energia facile e relativamente poco costosa che conoscevamo, nonostante tutti i tentativi di fingere il contrario. L’unica cosa che è davvero aumentato è l’impatto ambientale che diventa insostenibile man mano che si raschia il fondo del barile. Tuttavia invece di sviluppare tecnologie nuove e fonti rinnovabili, siamo continuamente raggirati da chi difende non tanto i carburanti fossili di per sè quanto le rendite di posizione, la struttura di potere cui essi fanno riferimento e l’ideologia che la sostiene. Poco importa se avveleniamo il pianeta e ci esponiamo a una futura feroce battaglia per il poco rimasto. L’importante è essere ottimisti a ogni costo. come gli idioti.

* L’idea seconda la quale l’austerity ovvero il taglio delle spese pubbliche porterebbe alla crescita deriva dall’idea che i tagli creerebbero l’aspettativa in una riduzione delle tasse e dunque indurrebbero una maggiore disponibilità alla spesa per beni e investimenti. Insomma uno psicologismo della domenica del tutto ignaro della complessità sociale, ma anche della vita reale, visto che il taglio di spesa pubblica corrisponde per la maggior parte delle persone a una riduzione dei servizi e dunque a un maggior risparmio in vista.

 

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