palais-lumiere-21Anna Lombroso per il Simplicissimus

Nell’avvitarsi su se stessa dell’eterna spirale della storia, si ripresentano come ricorrenti appuntamenti le ultime volontà di Grandi e meno grandi, intese a lasciare una impronta imperitura nel mondo: piramidi, anche recenti, ponti non solo virtuali, mausolei in sibaritici compound, punteggiati di irte piante esotiche. E non si tratta di un monopolio esclusivo di visionari condottieri, faraoni ancora imberbi, ma condannati, presidenti persuasi del loro contributo insostituibile alla grandeur nazionale, dittatorelli o plutocrati boriosi quanto cafoni. Ci si mettono anche stilisti le cui tracce creative sono meno memorabili della loro megalomania costruttiva.

È il caso di Pierre Cardin – e vi sfido a ricordare un prodotto della sua haute couture – che per lasciare un segno imperituro e profittevole del suo passaggio sulla terra ha deciso, non di erigersi in anticipo una bella tomba al Père Lachaise, ma di tirar su una torre di 250 metri, alta due volte e mezza il campanile di San Marco, con luci stroboscopiche da discoteca, attorcigliata su se stessa, con residence, negozi, servizi, parcheggi e infrastrutture viarie, visibile anche dal Lido, svettante com’è sullo skyline dell’ormai reclinata Serenissima.
Eh si, il tutto verrebbe su nella landa desolata di Marghera, un territorio degradato e allegorico della crescita dissipata e sgangherata, non soggetto dunque al rispetto della tacita regola che nessuna costruzione deve avere la tracotanza di oltrepassare in altezza el Campanil, un “postaccio” remoto e chi se ne frega dunque dell’oltraggio estetico e morale che si aggiunge alla miseria di un luogo contaminato dalla cattiva industrializzazione, perché cattedrale celibe in più o in meno, cosa cambia.
E infatti come in una commedia di Giacinto Gallina – quelle con “Serenissima”, il vecchio gondoliere rappresentante, nella mai estinta lotta tra modernità e conservazione, del misoneismo contro il futurismo della velocità del “vaporeto” e del dinamismo dei motori – l’arena degli ostili al progetto è stata tacciata di infame snobismo, che sembra ormai rappresentare un peccato mortale più dell’avidità, e di colpevole immobilismo.

Il fronte, persuaso delle magnifiche sorti e progressive della Torre è compatto, perfino di più di quello dei fan delle navi da crociera in Bacino, o del brutale grande magazzino nel Fondaco: gli spunti ideali sono quelli della paccottiglia di quel pragmatismo che predica un malinteso adeguamento alla naturale evoluzione della modernità. Che in fondo la qualità, la specialità di Venezia è stata l’accoglienza, l’apertura alla novità e al cosmopolitismo, la munifica indole ad attrarre talenti e creatività per farle produrre in patria rendendola sempre più bella e potente. E poco vale ricordare che purtroppo la tendenza si è interrotta qualche secolo fa, se questo istinto, nel rifiutare Le Corbusier, Wright e Kahn, accetta invece e integra nella città, definita il più straordinario miracolo urbanistico, brutture e oltraggi, ben testimoniati da un albergaccio tirato su a Piazzale Roma., di fianco all’improbabile seppur gustoso Ponte di Calatrava.

E mica vorreste fare di Venezia un museo a cielo aperto, recita il mantra dei sostenitori di tante improbabili irruzioni del futuro nel tessuto fragile e vulnerabile della città. Sono tutti d’accordo i poteri e le autorità: Ministri ai Beni Culturali e all’Ambiente, enti locali, Regione, stampa, tutti estasiati, perfino l’alta carica anche stavolta acrobaticamente impegnato a esorbitare dal ruolo, che avrebbe esercitato pressioni mai smentite in favore del grattacielo dell’emiro oriundo veneto, incurante dell’accorato appello rivoltogli da un drappello di retrogradi intellettuali “fuori dalla realtà”.
Aveva resistito l’Enac, preoccupata per la sicurezza dei voli del vicino aeroporto, minacciata dall’esuberanza della costruzione, ma zittita d’autorità con un provvedimento ad hoc che concede una deroga. Ora ci prova il direttore regionale dei Beni culturali del Veneto, Ugo Soragni, che ha infatti comunicato al Comune di Venezia che «sull’area interessata dall’intervento edificatorio in oggetto debba ritenersi operante il vincolo paesaggistico ex lege»: insomma nell’area in questione, pur trattandosi di zona industriale, sarebbe in vigore il vincolo paesaggistico previsto dalla legge.
Ma si bisbiglia già in corridoi molto felpati e adusi al silenzio prudente, che il ministro Ornaghi sia incline a rompere il suo costume alla ritrosa riservatezza per accogliere il suggerimento del sindaco Orsoni, inteso a secretare il progetto al fine di sottrarlo al parere vincolante della soprintendenza.

Sarebbe davvero un sgarro inqualificabile ricorrere alla legge per sottrarsi alle ben più “alte” leggi del mercato e del più forte: il bilancio comunale è appeso ai capricci dello stilista e ora anche alla ridondante effervescenza del direttore generale. Insomma è nelle mani di Pierre Cardin, racconta il quotidiano “La nuova Venezia”, sperando che “confezioni” una vendita su misura per le esigenze di Venezia. Il bilancio 2012 del Comune – per quanto riguarda il rispetto del Patto di Stabilità – è condizionato dalla vendita entro fine anno dei terreni comunali di Marghera su cui dovrebbe sorgere, in parte, l’ormai famoso Palais Lumiére,che insieme ad altre poste – come l’area della Favorita al Lido, parte del complesso delle ex Conterie a Murano, la Biblioteca di Mestre di via Miranese tra le altre – dovrebbe fruttare complessivamente 46 milioni di euro, a cui vanno aggiunti altri 48 milioni di euro di fondi di Legge Speciale, previsti dall’emendamento alla Legge di Stabilità approvata alla Camera e ora all’esame del Senato, ma non ancora in cassa.

Un comune scrupolosamente allineato con le politiche di governo, propone come augurabile, desiderabile e giusta la liquidazione a prezzi di svendita di proprietà pubblica, così come ha fatto con l’Arsenale concesso benevolmente al Consorzio Venezia Nuova a fini esplicitamente speculativi.
Ha ragione Settis, lo sport preferito dal “regime” consiste nell’oltraggio continuato e sprezzante a Venezia, come a tutta la bellezza e al paesaggio, autentico e unico patrimonio italiano.
Ma in questo caso l’oltraggio ha un contenuto in più, ancora più iniquo e meschino. Si tratta di questo nuovo mecenatismo “peloso”, che sceglie investimenti peraltro molto assistiti e aiutati dai quattrini pubblici, purché siano predisposti a trasformarsi in loghi, griffe, advertising, in benefici commerciali immediati, in barba alle ricadute per i cittadini, espropriati di beni e diritti, se non quello di consumare.
Il disinteresse e l’indifferenza ostentata per un progetto che nasce a Marghera, riconferma la coazione a ripetere delle scelte politiche che hanno investito quel territorio, così brutto, sporco e cattivo, evidentemente, da meritarsi obbrobri aggiuntivi e ludibri supplementari. In modo che dalla bestemmia derivi profitto per geografie più ricche e degne di tutela e benessere.