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Il Leviatano privato

leviatanoAnna Lombroso per il Simplicissimus

Non occorre mica scomodare Schmidt, basta la casalinga di Voghera, basto io per capire che ha superato ogni previsione l’operazione sistemica di coagulare “persone”, fino a che dimentichino di essere tali, intorno a un nemico, unirle anche se, o grazie al fatto, che siano nemiche le une delle altre, in modo da ridurle in servitù sentendosi però liberi di odiare.
Così si odia lo straniero, anche se uguale a noi, perché ci si convince che la sua alterità rappresenti la negazione del nostro modo di esistere e perciò sia necessario difendersi e combattere, per preservare la nostra, peculiare inclinazione di vita, i nostri beni sempre più impoveriti, la saldezza delle nostre convinzioni, i nostri privilegi.

Cittadini che da mesi mugugnano contro il governo Monti, vanno a sottoscrivere un patto per perpetuare la sua leadership e soprattutto la sua politica, come proprio ieri è stato riconfermato dal candidato premier prescelto, pur di votare contro. Amici che si riconoscono nel tentativo di aggregare idee riconducibili alla sinistra, contro quel governo, contro i padroni che rappresenta qui, contro i suoi principi e obiettivi di iniquità e disuguaglianza, litigano sonoramente sui primi firmatari degli appelli, sui nomi, forse più importanti delle idee?
Non occorre nemmeno scomodare Hobbes, sulla nostra indole, incontrollabile e ingovernabile, a garantirci la sopravvivenza mediante la sopraffazione dell’uno sull’altro, anche quella delle nostre convinzioni da assicurare mediante la soperchieria e spesso contro il nostro stesso interesse.

Sono una sempliciotta, il complottismo mi piace solo quando è un libero esercizio letterario, dubito abbia ragione Giulietto Chiesa quando sceneggia il suo 11 settembre, come un colossal costruito in casa, a tavolino. Ma è indubbiamente e esplicitamente vero che quella data segna la fine del paradigma costruito dopo la caduta del Muro e l’inizio della guerra di difesa dall’attacco all’Occidente, alla cultura politico-istituzionale superstite del Novecento, che ci avevano fatto credere potesse continuare ad essere pacificamente egemone. Il vecchio secolo, altro che breve, non era chiuso e chiamava a raccolta, intorno all’oltraggio subito, il vecchio mondo sfidato nel suo sistema, nel suo benessere, nei suoi modelli.

Peccato che mentre veniva indicato il nemico delle democrazie, esportandone le aberrazioni sotto forma di missioni umanitarie, la vera guerra si incrudeliva all’interno dell’Occidente opulento: pochi ricchi contro una moltitudine sempre più vasta di poveri, una ideologia intesa a annientare lavoro e produzioni per instaurare una forma moderna di schiavitù in grado di muovere eserciti di precari assecondando comandi e capricci padronali, un modello di crescita illimitata a danno di risorse, paesaggio, ambiente, un processo irresistibile per l’egemonia dell’interesse del profitto su quello generale così che i diritti diventano concessioni sempre più arbitrarie e limitate.

È così che i lavoratori sono stati lasciati soli, che i malati si vergognano di esserlo, che i poveri vengono spinti ai margini delle città, che chi ama la bellezza e il sapere deve poterseli comprare, e se si ribellano sono disfattisti, nemici da isolare e combattere, in nome della sussistenza in vita di un’espressione geografica e di potere, contro la sovranità di stati e popoli.
Se proprio il nostro istinto ci conduce a essere il lupo di qualcuno, cerchiamo di non esserlo contro gli altri agnelli, in modo che, distratti e ciechi, ci portino al macello senza resistenza. Non diamogliela vinta, questa guerra contro la solidarietà e l’amicizia, che è una guerra dell’indole ferina che si chiama avidità, contro la ragione luminosa che si chiama anche amore e felicità.

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