Fossi uno storico alla Toynbee mi verrebbe da notare come la divisione netta che si è avuta sul bilancio Ue 2014 – 2020 segue quasi esattamente la separazione fra lingue romanze e germaniche: chi si oppone e chiede tagli drastici sono Gran Bretagna, Olanda, Svezia, Germania, Danimarca e Finlandia, unica eccezione ugrofinnica in questo quadro. Ma è solo una curiosità: più significativo da ogni punto di vista è il fatto che chi mette in crisi il bilancio e dunque l’idea stessa di maggiore cooperazione, sono proprio quei Paesi che impongono  sacrifici agli altri in nome di una futura e a questo punto ambigua integrazione.

Anche per il precedente bilancio ci furono dei problemi, ma erano di natura diversa perché ogni Paese tendeva a fare il proprio interesse in ordine sparso, senza la creazione di fronti così netti che in realtà significano e alludono ad altro come se la crisi stesse creando un confine sempre più evidente. Questo significa che così com’è stata concepita  e in seguito “aggiustata”, così come viene guidata, l’Unione sta esaurendo la sua spinta e il suo senso: senza cambiamenti radicali è destinata a un angoscioso e tormentato tramonto. Però c’è anche qualcosa che non ha funzionato e che ci riguarda da vicino: il ruolo di mediazione che Monti aveva scelto per sé, in teoria lodevole, ma nella realtà volta a permettergli di fare il pesce in barile e a tenersi equidistante fra i due blocchi. Una strada imboccata fin dall’inizio dell’avventura a Palazzo Chigi e che ogni giorno di più si rivela senza uscita.

Questo ruolo di peacemaker è stato oltretutto svolto male e in maniera ambigua:  «Siamo un po’ delusi, perché pensavamo che riuscisse a mediare di più» dice un rappresentante inglese, mentre uno polacco è più esplicito: «Capire gli italiani è diventato sempre più complicato, dato che non hanno fornito cifre o idee». E infatti il presentarsi come rammendatore non è servito nemmeno a difendere gli interessi italiani che sarebbero stati fortemente colpiti se si fosse chiuso il bilancio. Come al solito il premier rifiuta di prendere atto del fallimento e si consola ricordando la pessima trattativa che fu condotta dal governo Berlusconi nel 2005 e sostiene che per l’Italia le prospettive sono migliorate, che ci sono Paesi che rischiano di perdere di più. Diventa sempre più evidente lo scollamento dalla realtà.

Ma ciò che davvero non ha funzionato in questo anno è stato l’insieme di mentalità espresse dal governo e in particolare dal presidente del consiglio: si è impegnato in una dissennata gara per fare il primo della classe tra i Paesi in crisi: invece di cercare un fronte comune tra Francia, Italia e Spagna contro le filosofie finanziarie e della Merkel ha voluto dimostrare che massacrava meglio senza dover subire grosse conseguenze, né dalla piazza, né dalla politica. E adesso si raccolgono i frutti di questo colossale errore che purtroppo non viene  riconosciuto ed è anzi reiterato ad ogni occasione, al riparo di maistream mediatico che fa di tutto per attutire le cadute. E pare non rendersi nemmeno conto che questa volta le divisioni e i battibecchi sul bilancio, i fronti che si sono formati, non riflettono banali interessi di bilancio, ma nascondono una profonda frattura, l’esistenza di una faglia che sta separando il continente. Fossi uno storico alla Toynbee direi che è la risposta sbagliata a un nuovo problema: ma non ce n’è alcun bisogno, basta essere cittadini di questo sordo declino per accorgersene.