Sallusti si rivela più dannoso da futuro carcerato che da “libero”: la legge che dovrebbe salvarlo dalla galera e su cui si parla assi poco, ha scatenato tutto la la rabbia della casta politica che si sente assediata. Infatti, come in una fungaia, nascono in continuazione emendamenti per  punire duramente la “diffamazione” : un panorama desolante dal punto di vista della democrazia, ma anche ridicolo per le proposte messe in campo. Si va dalle multe fino a 750 mila euro, all’obbligo di pubblicare una rettifica lunga il doppio dell’articolo incriminato per venti giorni consecutivi, alla interdizione del giornalista da uno a tre anni (proposta da Felice Casson) o a tutta la vita come invece vorrebbe Malan, per finire alla possibilità che l’editore (ritenuto evidentemente “amico”) vigili sui giornalisti sostituendosi al direttore. Tutte proposte che in un modo o nell’altro si applicherebbero anche alla rete.

E’ del tutto evidente che con il pretesto di sottrarre Sallusti al carcere si sta trasformando una leggina in una sorta di mostruosità liberticida, il cui scopo non è affatto quello di punire le diffamazioni, ma quello di controllare definitivamente l’informazione e di impedire l’uscita di notizie sgradite. Rendere insomma improponibile anche quel poco di giornalismo vero che esiste con lo spauracchio di multe colossali, di privazione dei contributi pubblici, di sanzioni impossibili oppure come nel “caso Gabanelli” obbligando le aziende a non supportare i giornalisti nelle eventuali cause.

Lo strumento giuridico per attuare questa sorta di dissuasione alla libertà che è poi quella di tutti i cittadini, esiste già e consiste nel fatto che la diffamazione nel sistema giuridico italiano non è legata alla verità o meno di ciò che si afferma, ma soprattutto alla “onorabilità” delle persone di cui si parla, anzi ancor meglio al valore che esse attribuiscono alla propria onorabilità: praticamente si può querelare in qualsiasi caso, con qualsiasi minimo appiglio che di certo la nostra legislazione bizantina non fa mancare. E se la querela implica rischi  impossibili da affrontare, semplicemente si rinuncerà a dare le notizie e a passare le veline ufficiali.  Se poi qualcuno tentasse di fare lo stesso il suo mestiere, verrebbe isolato dentro redazioni già oggi abbastanza prone di fronte al potere e alle verità di stato.

Siamo al colpo di coda di una casta che non vuole alcuno specchio nel quale guardare il proprio aspetto reale e prendere atto della propria nullità. La vendetta che almeno dovremmo prenderci la soddisfazione di far diventare postuma.