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Anticorruzione, i segreti di Santa Severino

Licia Satirico per il Simplicissimus 

Anatole France non amava le persone perbene, identificando il perbenismo col conformismo: chi si conforma alla consuetudine, scriveva, passerà sempre per un uomo onesto. Ripenso a queste parole dure leggendo le dichiarazioni altrettanto dure di Paola Severino: il disegno di legge anticorruzione deve essere varato perché lo chiedono l’Europa, il mondo economico e anche le persone oneste.
Omettendo qualunque considerazione sul ruolo del mondo economico nella nostra crisi scarnificante e cercando invano di capire perché l’Europa sia diventata il mandante delle questioni ineluttabili, c’è da chiedersi perché la Guardasigilli insista sulla necessità di parlare a nome degli onesti, che vengono comunque per ultimi. Per un ricorrente fenomeno di trasfigurazione mediatica, la legge sulla corruzione è diventata il terreno su cui si giocherebbe il nostro avvenire civile, segnato dalla mancanza di fiducia dei mitici investitori stranieri. La legge, per la ministra, è irrinunciabile: stiamo vivendo una nuova Tangentopoli, e «lucrare sul denaro pubblico mentre si richiedono sacrifici ai cittadini è di una gravità inaudita». Occorre dunque una legge efficace, lontana da coloriture simboliche agevolmente strumentalizzabili.
Ma anche concedendo al ddl e alla raccolta di firme che lo ha sostenuto il beneficio (diabolico) delle migliori intenzioni, risulta difficile pensare che le persone oneste possano invocare l’approvazione di una legge a maglie larghe. Gli spifferi sono francamente troppi per non suscitare intense preoccupazioni.

Fatte salve ulteriori modifiche, la legge non prevede l’incriminazione dell’auto-riciclaggio, punito – guarda caso – in tutta Europa. Non rimette in discussione il nostro falso in bilancio pediatrico né aumenta i termini di prescrizione miniaturizzati dalla legge ex-Cirielli, unica legge talmente brutta da essere stata rinnegata persino dal suo firmatario. Vero è che il ddl introdurrebbe il nuovo delitto di traffico di influenze, ma prescindendo da ogni riferimento alle convenzioni internazionali sulla corruzione a cui la legge in cantiere dichiara di voler adempiere. La discussione parlamentare si è finora concentrata sull’uso di aggettivi e avverbi salienti, con pene talmente basse da non consentire le intercettazioni: un’altra materia a cui le sorti parlamentari della legge sulla corruzione sono stati troppo spesso accostate. La legge richiesta da Europa e mondo economico non contempla ancora l’immediata incandidabilità degli indagati nelle liste elettorali, sebbene Paola Severino assicuri che, entro i prossimi trenta giorni, la questione sarà oggetto di un’apposita legge delega: ma perché non risolverla subito, specie in una riforma “irrinunciabile”?

In questo momento, l’irrinunciabile testo non prevede nemmeno una correzione dei gravi difetti strutturali della fattispecie di voto di scambio. Per riprendere l’esempio di Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera, l’assessore della Regione Lombardia arrestato con l’accusa di aver comprato 4.000 voti dalla ‘ndrangheta non sarebbe andato incontro ad alcuna conseguenza penale se non avesse pagato in denaro. L’art. 416 ter del codice penale non punisce, infatti, lo scambio tra voti e favori o assunzioni pilotate o appalti: si tratta del sottobosco in cui la corruzione nasce e cresce, e tuttavia il disegno di legge, distratto dalle note preoccupazioni “salva-Ruby”, lo ha saltato a piè pari. I difetti appena elencati sono però quasi innocui rispetto alla paventata scomparsa della concussione tradizionalmente intesa, con trasfigurazione della concussione per induzione in corruzione smart: nemmeno ai tempi di Tangentopoli (la prima) avremmo mai pensato che il più grave delitto dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione potesse essere travolto dall’insolito destino di una nipote apocrifa.

Il prossimo 27 ottobre l’Associazione nazionale magistrati, nel perdurante silenzio del Consiglio Superiore della Magistratura, potrebbe denunciare i difetti tecnici da correggere e chiedere in via ufficiale una legge che non sia “un simulacro” (o, peggio, un sepolcro imbiancato). Potrebbe essere tardi: il ministro sollecita la fiducia e dice che si è perso sin troppo tempo, «anche se non dobbiamo aspettarci effetti miracolistici».
L’agnizione finale affiora dalla trascendenza negata: il “miracolo” è impossibile con una normativa ambigua, che tollera lacune già presenti creandone di nuove e assai più gravi. Le persone oneste, a cominciare dalle centinaia di migliaia che hanno sottoscritto con convinzione appelli per la sollecita approvazione della legge, non possono accettare un rischio di questa portata.

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