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Nordafrica, il dio mercato e le colpe dell’ Europa

La tesi prevalente che emerge dopo l’uccisione dell’ambasciatore americano in Libia e il riesplodere di tensioni in tutto il nord Africa, è che non abbiamo interpretato bene la cosiddetta primavera araba e oltretutto siamo stati colti di sorpresa perché distratti dalla crisi dell’Euro. Mi riferisco ovviamente alle argomentazioni più evolute del milieu politico italiano, tralasciando la tronfia e irreddimibile idiozia che spurga dall’ex mondo berlusconiano.  Ciò che non avremmo compreso è che la crisi dei vecchi regimi, con i quali bene o male si aveva una base di dialogo, non si sarebbe conclusa con una rapida democratizzazione, ma avrebbe aperto una stagione di convulsioni e di lotte nelle quali è arduo orientarsi e ancor più orientarle. Se poi ci si mette anche la disattenzione dovuta alla crisi economica, la mancanza di una politica estera europea , i “compiti a casa” ecco che si giustifica la sorpresa nel vedere gli incendi alle porte di casa. Ma quando avremo più Europa….

Tutto questo però ha pochissimo senso. E l’Europa – dico questa Europa – non ha soluzioni da dare al problema, visto che è parte del problema. Come è ben noto la frattura dei vecchi equilibri in nord Africa è stato essenzialmente dovuta alla “crisi del pane” ossia al rialzo dei prezzi degli alimenti di base dovuta a tutti quei fattori che sono in qualche modo parte integrante del modello liberista continentale basato sull’illusione della crescita infinita, sulla riduzione della politica alla finanza, sul dogma del mercato. Quindi la cosa che dobbiamo aspettarci è che il Nordafrica non sia che il prodromo di cambiamenti tensioni molto più vaste, perché la guerra del cibo è solo all’inizio.

Il fatto è che il modello di crescita, impastato da speculazioni e grandi interessi, ha impedito di scendere dal treno del consumo selvaggio, nonostante i mutamenti ambientali che comporta e che provocano la riduzione media dei raccolti, la desertificazione climatica o chimica di molte aree. Il folle consumo di risorse del pianeta non si è fermato nemmeno un momento nonostante le dichiarazioni di intenti e si è preferito non toccare nulla della struttura del consumo. Così oltre al riscaldamento globale le produzioni agricole si sono ridotte anche per far spazio ai biocarburanti. Di tutto questo hanno fatto le spese i prezzi dei prodotti alimentari di base, sia a causa della speculazione – sempre sia sia lodata  perché è parte del dio mercato- sia perché la politica non ha avuto la forza di innalzare gli standard di risparmio di combustibile, di creare urbanistiche per minimizzare gli spostamenti, di puntare di più sul trasporto pubblico, di imporre gradualmente tecnologie diverse: nessuno deve utilizzare meno l’automobile o fare una macchina migliore, tutto rimane lo stesso, tranne la fonte di combustibile. A spese per ora di chi ora vive ai limiti della sopravvivenza, ma a spese di tutti in un più vasto arco di tempo.

Così anche se il mercato del biodiesel è in gran parte dentro la Ue esso assorbe il 7 per cento della produzione mondiale di olio vegetale. La Commissione europea ammette che il suo obiettivo (il 10% dei carburanti per autotrazione entro il 2020) farà aumentare i prezzi mondiali dei cereali tra il 3 e il 6%. E  Oxfam (Oxford Commitee for Famine Relief) stima che ad ogni aumento dell’1% del prezzo del cibo, altri 16 milioni di persone soffrono la fame. Inoltre secondo i calcoli dell’Ocse  entro il 2021, il 14% del mais a livello mondiale e di altri cereali minori, il 16% dell’ olio vegetale e il 34% della canna da zucchero sarà utilizzato per permettere alle persone dei Paesi ad alto consumo di non dover rinunciare ai loro standard. La domanda di biocarburanti – sempre secondo l’Ocse – sarà soddisfatta n parte attraverso un aumento della produzione, in parte attraverso una “riduzione del consumo umano.”

Da parte sue ActionAid stima che le imprese europee hanno acquisito cinque milioni di ettari di terreni agricoli – un’area delle dimensioni di Danimarca – nei paesi in via di sviluppo per la produzione industriale di biocarburanti. I piccoli agricoltori sono stati estromessi dalle loro terre, mentre foreste tropicali, savane e praterie sono state ripulite per piantare ciò che l’industria chiama ancora “carburanti verdi”.

Adesso forse cominciamo a capire come la cinematografia c’entri poco negli eventi di questi giorni, quanto meno nella sostanza. Il fatto è che non ci siamo distratti troppo con la Libia, l’Europa si è distratta troppo con se stessa, il paradigma della crescita perpetua si è inceppato, è cascato dentro le sue stesse contraddizioni, cosicché queste sciagurate politiche si stanno poco a poco riversando sui suoi stessi cittadini, portando instabilità dentro i suoi stessi confini. La soluzione però non è quella di cambiare strada, ma semplicemente di togliere rappresentanza politica reale alle persone e sovranità agli stati, così che il modello di cui sempre meno possono godere non  rischi il collasso.

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