Una voce viene dall’Africa, quella di un brigante che ora gioca a fare Albert Schweitzer e ci dà una nuova e rivelatrice rilettura della stagione del berlusconismo. Si risente la voce di Bertolaso il capo di quella protezione civile che era diventata lo strumento principe per gli affari più incivili, per quell’emergenza continua che agiva senza i lacci e lacciuoli di qualsiasi regola. In realtà non ha nulla di straordinario da rivelare, ma è nulla che trafigge: vuole difendersi da chi lo vorrebbe dipingere a tutto tondo come il principe della cricca oltre che uno scherano di Berlusconi e per farlo chiama in causa due telefonate con Napolitano che fanno parte delle intercettazioni della primavera 2009 a cavallo del terremoto de L’ Aquila, finite agli atti dell’inchiesta sul G8 alla Maddalena.
Storia nota, intercettazioni in possesso dei giornali e in primis di Repubblica, ma mai pubblicate. Intercettazioni probabilmente senza alcun mordente adatto alla cronaca giudiziaria e divenute note soprattutto perché, al contrario di quanto è accaduto con le conversazioni del Quirinale con Mancino, non è stato sollevato dal presidente alcun conflitto di attribuzione. E allora cosa si propone Bertolaso che ora vorrebbe veder pubblicate quelle intercettazioni? Sentiamolo: “Ricordo perfettamente le telefonate e confermo che non c’è nulla di riservato. Non parlo dei contenuti e mi limito a sottolineare un dettaglio. Repubblica le ha ma non le pubblica. Non vorrei ci fosse una ragione politica. Forse leggendo il testo dei dialoghi tra Bertolaso, il braccio armato di Berlusconi e Napolitano si sarebbe finalmente capito chi era davvero il mio referente nelle difficoltà. Mi chiedo, era meglio non rivelarlo?”
Scopriamo così che dopo la caduta, Bertolaso tiene a farci sapere di non essere stato solo uno strumento della cricca e nemmeno un uomo di fiducia di Silvio, un ingranaggio dentro l’opacità del berlusconismo, ma che suoi referenti erano anche altri e più alti. Il problema è che questo non cancella affatto le res gestae di Bertolaso, ma amplia invece le responsabilità a cui si deve il declino del Paese. Un panorama nel quale acquistano senso cose che prima lasciavano solo perplessi: firme un po’ facili, tempo concesso al Cavaliere per salvarsi, un’opposizione molto urlata, ma poi più che disposta al compromesso. Insomma un mondo e un sistema politico ormai spiaggiati. Lo stesso che ora ci sta infliggendo la coda velenosa delle sue incapacità.
Dunque Non solo Silvio. Forse questo può alleggerire la coscienza di Bertolaso, ma tutto il peso mancante va altrove. Forse è un buona notizia per l’ex deus ex machina della protezione civile, ma per noi è una pessima conferma.
C’è un evidente parallelismo tra la situazione politica del 1922 e quella attuale. Come allora, malgrado l’evidente degenerazione della situazione in senso autoritario, quasi tutti hanno ignorato i segnali della deriva riveniente fin dal capo dello stato di allora. Le parole di Monti, che fanno il paio con il modo di pensare di Berlusconi sulla sovranità popolare e parlamentare, mostrano chiaramente una deriva autoritaria verso cui siamo avviati senza che la stampa, i partiti e persino lo stesso parlamento (sfottuto da Monti) diano un segno neppure di parere contrario. Come nel 1922, all’estero si parlava della deriva autoritaria, mentre da noi si inneggiava al duce come salvatore della patria. Questa tendenza fascista del governo Monti è forse una delle cause del pensiero poco favorevole dei mercati verso il nostro paese, oltreché dei politici europei, ovviamente.
C’è solo un attenuante per Monti, ma non per i suoi sostenitori, che tirare fuori una frase del genere può solo essere attribuita a delirio di potenza in personalità psicotica, quindi che ha perso i freni inibitori nell’esprimere le sue opinioni a terzi perché considera il suo pensiero perfetto e non più perfettibile, anche se ha difronte a sè persone di diversa estrazione culturale e politica. In termini politici è una vera catastrofe.