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Il romanzo della crisi. Quarto capitolo: ritorno alla Lira

il terzo capitolo (qui)

E’ venuta l’ora di riassumere le vicende che questo romanzo racconta per avviarci al finale. Abbiamo visto come l’euro, moneta unica di un’area non omogenea e senza unione politica,  priva di una banca centrale a tutti gli effetti, sia stato un azzardo. Abbiamo anche visto come altrettanto azzardata sia stata la volontà delle classi dirigenti italiane di entrare subito senza alcuna preparazione e anzi usando la nuova divisa non per risanare, ma per perpetuare le storture. E tutti noi, giorno per giorno vediamo come sia azzardato continuare a sognare la possibilità di mettere in comune debiti e crediti tra i vari Paesi d’Europa.

In queste condizioni, le ricette di stampo liberista, quelle fallite peraltro tante volte in altri continenti e vicende che consideravamo lontane, non migliorano la situazione e anzi fanno affondare l’economia reale. Una lunga e graduale caduta con il ricatto quotidiano del default che per molti economisti è alla fine inevitabile, in mancanza di clamorosi cambiamenti. Si impone dunque un pensiero ufficialmente rifiutato, ma di fatto ormai in campo: il ritorno alla lira. Qualcosa che fino a qualche tempo fa dicevano solo gli eretici sparsi o eterodossi come Paul Krugman o Paolo Savona, ma che ormai occhieggia sempre più spesso dalle pagine del Wall Street Journal e dell’Economist.

La cosa più sciocca  è dunque far finta che questa prospettiva sia frutto di menti sconsiderate, di visionari o nel migliore dei casi  soltanto un ballon d’essai. Certo le uscite episodiche e dementi di Berlusconi con i suoi euro da stampare in casa o i proclami sgangherati, non aiutano l’opinione pubblica a rendersi conto che si tratta di una prospettiva tutt’altro che campata in aria e che potrebbe anche presentarsi a causa di eventi esterni, come una fuga dalla moneta unica dei paesi più in crisi o paradossalmente di quelli  più forti. Certo la demonizzazione può derivare anche dal fatto che l’euro è diventata un’arma formidabile per aggredire il lavoro, le sue tutele e la sua dignità oltre che un ricatto per svuotare dall’interno la democrazia come per l’appunto è avvenuto in quest’ultimo anno in cui è stata massacrata la Costituzione senza nemmeno una consultazione popolare. L’euro è in effetti la moneta delle oligarchie, locali e continentali.

Ma vediamo cosa succederebbe se si decidesse di uscire dall’Euro. Dirlo è molto difficile sia perché ci sono diverse tesi sull’approdo finale,  sia perché hanno un peso rilevante le tecniche e i criteri con cui si affronta il passaggio. Vediamole. Alcuni ipotizzano la divisione della moneta unica in un euro debole e un euro forte cosa che avrebbe minori conseguenze sulla permanenza della Ue e susciterebbe probabilmente un impatto psicologico più blando. Ma si tratta  anche della soluzione più pasticciata perché almeno per il Sud di Europa si continuerebbe ad avere una moneta unica  a fronte di economie diverse e con gli stessi limiti di oggi: l’assenza di una vera banca centrale.

Altri pensano invece a un ritorno alla lira e alle monete nazionali tout court, altri ancora pensano ad una sorta di integrazione monetaria con doppia circolazione per un certo periodo di tempo o magari a tempo indeterminato. Sebbene questa prospettiva non abbia fatto breccia presso gli economisti di professione  con opportune, anche se modeste modifiche alla legislazione europea , potrebbe essere una buona soluzione in caso di ritorno generalizzato alle monete nazionali.  Anzi secondo alcuni (cfr. Benjamin Cohen, The Future of Money, Princeton University Press) sarebbe proprio questo il mainstream del futuro. Certo la realizzazione dovrebbe contemplare accordi complessi e in ogni caso il nostro vecchio debito denominato in euro continuerebbe a pesarci addosso, ma non insopportabilmente perché da quel momento in poi la finanza e l’economia reale del Paese funzionerebbero prevalentemente in moneta nazionale. Con il vantaggio però di potersi appoggiare, all’occasione, a una moneta forte che in questo caso avrebbe un’effettiva capacità di creare compensazioni fra le varie aree del continente. Insomma una specie di vecchio Ecu, tuttavia con circolazione di banconote.

Nessuno è davvero in grado di prevedere però cosa accadrebbe in caso di un ritorno semplice alla lira con le negoziazione necessarie visto che non esiste nei trattati la possibilità automatica di uscire o di essere cacciati . Questo non significa che non esistano numerosi scenari, molto diversi a seconda delle premesse. Generalmente però l’ipotesi da cui si parte è che la Lira andrebbe incontro a una vertiginosa svalutazione in grado di mettere ko in pochissimo tempo  le aziende quotate in borsa e facendo schizzare verso l’alto come missili le obbligazioni, sommandosi all’effetto precedente; i titoli di stato potrebbero essere scambiati solo con interessi altissimi provocando non un default perché in questo caso lo Stato potrebbe rifornirsi ad libitum di moneta, ma una superinflazione. Da qualche parte che non ricordo ho anche letto il parere di un sedicente esperto che parlava di un crollo delle quotazioni immobiliari che al contrario è semmai probabile con l’euro a causa della scarsità di mutui e di acquirenti.

Comunque sia supponendo di partire da un’ipotetica parità di cambio 1 Euro – 1 Lira, sia la banca giapponese Nomura ( uno dei più grandi gestori mondiali di fondi) sia la svizzera Ubs calcolano la perdita di circa il 20% di valore in un anno per poi gradualmente assestarsi, qualcosa insomma di molto meno catastrofico di quanto non si voglia far pensare, visto che questo paese ha vissuto un decennio filato con inflazione a due cifre. Voglio dire che se questi fossero i livelli o anche un po’ superiori, non esisterebbero problemi per stipendi e salari e men che meno per le proprietà immobiliari che costituiscono l’asset di gran lunga maggioritario nella proprietà privata il cui valore resisterebbe, come è sempre accaduto, all’inflazione. Anche la perdita di valore del mercato azionario e i maggiori interessi obbligazionari sarebbero compensati da un’immediato recupero di competitività delle nostre imprese il 99% delle quali non è quotata e non ha obbligazioni. I guai ci sarebbero per i possessori di titoli di stato vale a dire le banche nazionali ed estere e per quei privati che possiedono molto denaro liquido o molti bpt, ammesso che già non abbiano provveduto a farli volare via o a tramutarli in altro. E’ per questo che si vuole ad ogni costo tenerci nell’Euro oltre che metterci fuori gioco come potenziale concorrente. Però  la quantità di titoli posseduti fuori d’Italia si potrebbe tramutare in un vantaggio quanto meno nel breve periodo : proprio le perdite prevedibili dei maggiori soggetti finanziari li consiglierebbe a non scommettere troppo contro la ricreata lira. D’altro canto visto che lo Stato possiede in via diretta circa 500 miliardi di beni, invece di venderli, potrebbe metterli a garanzia di nuove emissioni di titoli a interesse relativamente basso per superare la prima fase di turbolenza.

Anche la paventata corsa agli sportelli bancari per ritirare i propri risparmi in euro e salvarli dalla loro automatica conversione in lire è sostanzialmente una sciocchezza: si può benissimo immaginare che i depositi in euro rimangano tali  e vengano tramutati in lire – al cambio del giorno – soltanto al loro ritiro, totale o graduale che sia. Insomma molto dipende da come si organizza il passaggio: le immagini catastrofiche sarebbero piuttosto il prodotto di un ritorno alla vecchia moneta in fretta e furia e senza preparazione, senza studiare accuratamente un livello di cambio e tutti gli altri particolari decisivi. Certo da una classe dirigente cialtrona ci si può aspettare di tutto ed è proprio per questo che l’argomento entrare a pieno titolo nella discussione pubblica: tanto i capitali che dovevano uscire lo hanno già fatto.

Naturalmente  non bisogna nasconderci dietro un dito: l’operazione di un’uscita richiede uno o più sponsor forti per non essere traumatica e nel nostro caso essere potrebbero essere certamente gli Usa, (già pronti, a leggere fra le righe le dichiarazioni di Geithner dopo l’incontro con  Schäuble) e probabilmente anche la Cina. Inoltre per alcuni anni bisognerà ricostruire un tessuto sociale ed economico senza però “fabbricare” tanta moneta da avere tassi d’inflazione troppo alti. Sarà dura, ma con una nuova speranza di farcela, dentro un nuovo inizio, con un nuovo contratto sociale da stabilire, senza essere condannati ad un impoverimento progressivo senza altra via d’uscita che il fallimento o la terzomondializzazione.  Tuttavia sono evidenti due cose che fanno da tappo ulteriore a un abbandono dell’euro:  le perdite eventuali sarebbero a carico soprattutto di quel 10% di popolazione ricca e  la nuova situazione richiederebbe nuovi assetti assai sgraditi alle destre liberiste: per qualche anno, ad esempio, bisognerà reintrodurre sistemi di indicizzazione di salari, stipendi e pensioni, ridare respiro e vigore ai contratti nazionali, prevedere un nuovo impegno dello stato e delle sue articolazioni sia negli investimenti che nel coordinamento economico, eventualmente ricorrere a qualche nazionalizzazione. Insomma qualcosa che somiglia all’aglio per il vampiro finanziario.

Qualcuno si domanderà: è l’Europa, la buttiamo via assieme all’acqua sporca dell’Euro? Questo dicono quelli che accettano i massacri ” necessari” non si sa bene a chi o a che cosa. Ma se c’è una cosa evidente, anche per chi non la vuole vedere,  è che la moneta unica è stato il più potente fattore di disgregazione del continente, dell’investimento ideale e politico che aveva comportato. Tutto è stato dilapidato e mai dal dopoguerra ad oggi c’è stato un così evidente ritorno all’ostilità fra i popoli che compongono il mosaico. L’unità che oggi ci si propone di salvare, non è affatto quella che è stata alla base della sua prima costruzione, ma solo quella della notte finanziaria in cui tutte le vacche sono nere.  Da quasi un secolo, dalla fine della prima guerra mondiale,  l’Europa e la pace dentro il continente sono stati una grande speranza costantemente smarrita e al tempo stesso un grande feticcio. In nome di questo fu fatta l’iniqua pace di Versailles, un clamoroso errore  che portò a un altro conflitto mondiale, fatto anche quello ovviamente in nome dell’unità continentale “Ich war die letzte Hoffnung für Europa” , “ero l’ultima speranza d’Europa” diceva Hitler nel bunker. Ed oggi è fin troppo chiaro a chi abbia un minimo di sensibilità storica, che l’euro e la burocrazia bruxellesca cieca e sorda, sono il veleno dell’Unione e non la sua garanzia. Non sono affatto l’ultima speranza, ne sono la negazione.

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