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Giustizia demenziale: dishonoris causa per la Severino

Licia Satirico per il Simplicissimus

Ha quarant’anni ed è uno studente molto particolare. Recluso a Regina Coeli da più di cinque anni e con un residuo di pena di dodici mesi ancora da scontare, ha sostenuto con successo venti esami nell’ultimo triennio e preparato con diligenza la sua tesi di laurea in lettere e filosofia: un’analisi dei disegni e degli scritti delle vittime della Shoah nei campi di concentramento, da discutere presso l’Università di Roma Tre. A poche ore dalla seduta di laurea, però, un uomo chiamato cavillo, giudice del tribunale di sorveglianza di Roma, ha deciso di respingere la richiesta di permesso del detenuto per la pendenza dell’impugnazione del rigetto di un suo precedente permesso: in altri termini, perché i giudici stanno ancora decidendo della legittimità del diniego di analoga richiesta, cosa che impedirebbe di valutare la congruità di una richiesta nuova. Una catena di sant’Antonio di permessi negati, di aspettative deluse, di destini rinviati a un nebuloso avvenire: un delitto con castigo continuo, senza possibilità di riscatto.

La notizia è stata diffusa da Angiolo Marroni, garante dei detenuti della regione Lazio, che ha parlato di evento avvilente anche per la sconfortante tempistica. Si tratta di una vicenda traumatica che, secondo Marrone, «è anche lo specchio della complicata situazione in cui versa il tribunale di sorveglianza di Roma, caratterizzata da ritardi e lentezze nel rispondere alle esigenze del sistema carcerario e, in alcuni casi, da una durezza nelle decisioni verso chi deve scontare la pena». Il detenuto, nel frattempo, ha fatto sapere di non volersi più laureare in carcere: scelta umanamente comprensibile da ogni punto di vista.
In queste stesse ore l’associazione Antigone lancia l’allarme sul sovraffollamento delle carceri italiane, che tocca picchi del 145, 8 per cento, e sul numero inquietante di morti in cella: 89 solo dall’inizio del 2012, di cui 31 per suicidio. Antigone smentisce drasticamente i dati forniti da via Arenula sulla capienza dei nostri penitenziari: i 2157 “posti letto” in più creati dal 2007 ad oggi sono stati ricavati stipando i detenuti ovunque, a scapito degli spazi comuni e delle condizioni igienico-sanitarie. Nonostante questo molti reparti restano inagibili, esposti agli agenti (non penitenziari ma) atmosferici e al rischio costante di crolli.

A questa situazione drammatica la Guardasigilli risponde annunciando una riforma carceraria che renda flessibile anche la detenzione, quasi come il lavoro: il modello penitenziario del futuro punta sulle alternative a una reclusione ormai ingestibile, sul volontariato, sui lavori socialmente utili e sulle carceri “aperte”. Il ministro difende con vigore il suo decreto svuota-carceri, grazie al quale sarebbero stati evitati altri 3000 ingressi, tacendo però sulle due morti misteriose avvenute nella camera di sicurezza della questura di Firenze. Secondo Paola Severino la giustizia italiana sarà efficiente anche in tempi di spending review: i tagli orizzontali sono stati evitati, e quelli programmati – verticali e obliqui, per esclusione – mirano all’efficienza più che al risparmio.

Cosa c’entra il ministro col detenuto che non ha potuto, suo malgrado, laurearsi è evidente: quali saranno gli effetti della spending review su uffici giudiziari disastrati come il tribunale di sorveglianza di Roma? E a cosa serviranno le carceri “aperte” quando non si trova il modo di risolvere problemi semplici come un permesso per motivi di studio? In un caso del genere, l’unica possibile manifestazione di efficienza sarebbe l’avvio di un procedimento disciplinare verso un giudice più vicino a Torquemada che a Beccaria.

In Italia, però, le cose vanno diversamente: si richiedono provvedimenti severi contro i magistrati esorbitanti, indisciplinati, scomodi. Si dà il nulla osta per il trasferimento in Guatemala di titolari di inchieste importantissime. Si accusa la magistratura di minare, con intercettazioni patologiche, la salute cardiovascolare dei funzionari dello Stato. Le carceri restano piene e i tribunali arrancano, tra progetti demenziali di riforme costituzionali e priorità politico-criminali dettate dall’agenda di imputati eccellenti.
La realtà quotidiana dell’amministrazione della giustizia è deprimente ma potrebbe esser peggio, sempre ammesso che l’attuale esecutivo abbia davvero in mente di realizzare in pochi mesi la riforma del sistema penitenziario. Da idealisti ostinati speriamo che il detenuto oltraggiato possa conseguire il suo titolo di studio prima di tornare a essere un libero cittadino. E che magari qualcuno sorvegli i sorveglianti inferociti, sclerotizzati nelle loro lauree dishonoris causa.

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