Esempi di selezione tramite quiz

Licia Satirico per il Simplicissimus

Tempo fa, in uno dei test di ammissione alla Scuola interuniversitaria siciliana di specializzazione per l’insegnamento secondario, lessi la domanda “cosa significa dodecafonico?”. Una delle risposte plausibili, meravigliosa, era “dodici volte cafone”. Per questo motivo credo che la tentazione del reclutamento meccanizzato degli aspiranti docenti tramite quiz a risposta multipla abbia qualcosa di sublime e, al tempo stesso, di perverso.
A pochi mesi dalle polemiche sugli errori nei test di ammissione al concorso per dirigenti scolastici, il ministero dell’istruzione ci ricasca e rilancia. Gelminianamente, verrebbe da dire, se non fosse per il fatto che la tentazione orwelliana di smistare, tagliare, copiare, incollare risposte secche e refusi è ancora più antica. Non può più essere una coincidenza, un caso, un fatto sporadico. In queste ore una commissione ministeriale sta studiando (si spera) centinaia di segnalazioni pervenute a Francesco Profumo a proposito dei test di ammissione ai Tirocini Formativi Attivi, i nuovi corsi abilitanti per futuri insegnanti precari: i superstiti diventeranno solo supplenti, visti i continui tagli all’organico della scuola, e dovranno affrontare un concorso per entrare in ruolo.

Sul Corriere della Sera dello scorso 24 luglio Luciano Canfora ha espresso un giudizio memorabile sulla Weltanschauung politico-pedagogica oggi in auge, che val la pena riportare integralmente: i test TFA sono «quesiti a risposta multipla, concettualmente imparentati con i cruciverba della “Settimana enigmistica” e pallida reincarnazione dei quiz di Mike Bongiorno. È quasi imbarazzante parlarne, e penoso misurarsi con questo degrado; e nondimeno è indispensabile dare l’allarme prima che sia troppo tardi. Come era prevedibile, infatti, un meccanismo del genere, oltre a rispecchiare un’idea bassa della cultura, è destinato inevitabilmente a macchiarsi di errori dovuti all’ignoranza di coloro che formulano i quesiti». È immorale «che il destino di persone che hanno studiato per affrontare una prova da cui dipenderà la loro esistenza sia nelle mani di onnipotenti analfabeti».

Canfora ha commentato solo gli errori presenti nei quiz della classe di materie letterarie e latino, dove il quesito n. 5 – sul concetto di variante – non offriva alcuna risposta corretta tra quelle indicate, mentre il n. 15 era clamorosamente sbagliato: si chiedeva di attribuire a Buzzati l’opera “Qualcosa era accaduto”, ma il titolo esatto del racconto è “Qualcosa era successo”. Qualcosa è successo davvero, perché gli svarioni erano copiosi incredibili inarrestabili in tutte le classi di concorso, persino in quella di educazione fisica. I funzionari del ministero hanno toppato la sequenza degli stili nei quattrocento misti, confuso la Comunità europea col Consiglio d’Europa, eliminato fondamentali simboli algebrici nei test di matematica e seminato il panico sulla portata cronologica del termine “Nachkriegzeit” (dopoguerra), che per il Miur si estende fino ai giorni nostri.

In base ai primi dati la percentuale dei bocciati è di oltre il settanta per cento, con il picco negativo della classe di filosofia e psicologia (che conta solo il tre per cento di ammessi). Ci chiediamo quale possa essere lo stato d’animo delle vittime degli onnipotenti analfabeti ministeriali: gli stessi che predispongono i costosi test Invalsi – circa otto milioni di euro l’anno – per rivelarci che il sud del Paese è arretrato, che i quiz narrativi sono più facili di quelli matematici e che l’origine straniera degli allievi può condizionare il livello di rendimento.

La tempesta valutativa si sta abbattendo come una sciagura su tutto il sistema italiano dell’istruzione. Tutto è semplificato, schematizzato, informatizzato. Tutto è pulito, inodore incolore insapore. Il sistema reinventa la risposta, giusta o sbagliata che sia. La produttività scientifica dei professori universitari sarà valutata secondo linee mediane implacabili come i quiz a sorpresa dei Tirocini Formativi Attivi. Chi non supererà la valutazione sarà declassato ai Tirocini Formativi Passivi senza poter dimostrare di aver letto Buzzati, di conoscere le istituzioni europee, di identificare il dopoguerra con gli anni immediatamente successivi al periodo bellico. La linea mediana del nostro scontento scorre impotente nell’epoca dei professori come in quella di Marystar.

La cultura è diventata come il lavoro: non è un diritto, non ha tutela e non è nemmeno flessibile, non si mangia ed è molesta perché fa pensare. Ma la verità amara è che i nuovi orizzonti ministeriali storpiano pure l’ignoranza, che ora è smart, poliedrica, multipla e creativa: cresce con lo spread e si impone come sacrificio necessario. Noi siamo conservatori e continuiamo a preferire l’ignoranza tradizionale: quella rustica, naturale, spontanea, a risposta unica.