La palingenesi, il riscatto, la redenzione. Possono sembrare termini fuori luogo per l’economia eppure li sentiamo e li leggiamo ogni giorno, man mano che la crisi morde più a fondo senza che nessuno sappia davvero cosa fare. Invece hanno un senso, perché profeti, sacerdoti, chierichetti del rito liberista via via che vedono crollare la loro teologia non possono fare altro che appellarsi a un altrove economico, a una terra promessa che verrà dopo l’espiazione. E ci dicono che non abbiamo adorato abbastanza il dio denaro, che non abbiamo avuto abbastanza fede, che non ci sacrifichiamo abbastanza per essa.

A un antropologo non sfuggirà l’analogia con le processioni solenni durante le epidemie di peste con gli incappucciati e i flagellanti: sebbene diffondessero il contagio erano uno strumento di consenso e di riacquisizione di potere psicologico e fideistico dell’ ultramondano dentro il mondo sconvolto. Ovviamente anche noi abbiamo le nostre processioni, i vertici risolutivi che si susseguono senza risolvere nulla, ma che impongono sempre nuove penitenze: tutti riti destinati a nascondere sia l’impotenza di fronte alla peste della crisi, sia gli interessi che vi si nascondono. E abbiamo anche la metafisica di fronte alla quale far salire l’incenso. Si chiama Crescita. Dovete sopportare il massacro perché è solo attraverso questo che finalmente ci sarà la redenzione e la Crescita tornerà a far fiorire la terra, così dice il breviario.

E la liturgia funziona, è di oggi la notizia che la Perugina vuole chiede ai propri lavoratori di fare un orario ridotto in cambio dell’assunzione dei figli a tempo determinato e sempre a orario ridotto. Il che vuol dire prendere due poveri con una sola fava. Ma parecchi operai invece di opporsi paiono favorevoli o comunque non contrari perché “una volta passata la crisi, almeno i figli avranno una prospettiva”. Non hanno capito qual è il disegno.

Del resto è scritto nel patto di sangue col capitalismo che dopo ogni crisi, anche la più terribile, torni la Crescita: è stato così da sempre, non bisogna perdere la fede, non bisogna ribellarsi, altrimenti la dea diserterà l’appuntamento. Purtroppo però i sacerdoti mentono per la gola o sono degli illusi, l’idea di una crescita come ce ne furono nel dopoguerra o dopo il periodo napoleonico o ancora a cavallo tra il 19° e il 20° secolo è del tutto impossibile:  la crisi potrà anche assestarsi, ma non vi saranno impetuosi aumenti di pil tali da compensare facilmente le perdite di questi anni o rinverdire prospettive di un incremento potenzialmente infinito.   I fattori che permisero rinascite e boom oggi non esistono più: l’occidente non è più padrone assoluto del mondo, le risorse sono state saccheggiate e si sono enormemente ridotte, in più ci sono nuovi protagonisti che le contendono.  Dentro il paradigma liberista non c’è più spazio per le terre promesse regalate a tutti in modo da fare la fortuna di pochi, anzi giorno per giorno il credo si va trasformando nel regno di Saturno che mangia tutte le conquiste ed esprime anche politicamente il progressivo abbandono della democrazia in favore di un autoritarismo feudal finanziario.

Ma siamo talmente abituati alla religione della crescita che essa può ancora essere usata, da qualsiasi sponda politica, per illudere e sottrarre diritti, vendendo false speranze. E d’altronde non si vede ancora la nascita  consapevole  di un nuovo paradigma dello sviluppo che sostituisca la qualità e l’uguaglianza alla lotta per la quantità. Per ora abbiamo solo arcadiche decrescite, piccole eresie che implicano il risparmio di risorse, non il loro diverso utilizzo dentro una società diversa. Ma questo è un altro discorso.