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Il poligrafico rispolvera i cliché delle vecchie lire. Divorzio all’italiana?

La notizia comincia a serpeggiare come un venticello: il poligrafico dello stato avrebbe rispolverato i cliché delle vecchie lire, pronti ad essere nuovamente inchiostrati. Qualcuno da dentro e degno di fiducia lo conferma, qualcun altro lo nega, ma sarebbe difficile orientarsi in questo groviglio di spifferi se non avessimo qualche altro segnale a fare da bussola. Uno è che da qualche tempo a questa parte sono drasticamente diminuiti gli anatemi provenienti dal mondo politico circa una possibile uscita dall’Euro, il che è in un certo senso stupefacente visto che ogni giorno di più il Paese viene sacrificato sull’altare della moneta unica.

Il secondo sta nei numeri con la loro brutalità: il famoso spread, naviga sempre molto sopra i 400 con tendenza a crescere, testimoniando del fallimento del governo tecnico italiano, oltre che degli altri governi della periferia europea ligi a compiere il “loro dovere” con le stesse ricette e con i medesimi risultati: la recessione e l’impoverimento. Una spirale senza fine che porta a un aumento del debito anziché a una sua riduzione. Diciamo anzi a un’esplosione del debito visto che -per rimanere al caso italiano – ci siamo piegati a pagare per due decenni un ventesimo del debito pubblico che eccede il rapporto del 60% del debito stesso con il Pil: in pratica 45 miliardi all’anno solo di quello. Questo senza parlare degli esborsi relativi al Mes, strumento che ufficialmente è di salvataggio, ma che in realtà è solo di controllo politico e di sottrazione di sovranità. Su questo gli economisti sono praticamente tutti d’accordo: il nuovo salva stati è assolutamente sottodimensionato e nell’ambito di una crisi generalizzata, è un comma 22 dell’economia: gli stati per essere aiutati a superare la crisi del debito dovranno indebitare ancora di più i propri bilanci visto che sono loro a dover rimpolpare il plafond di salvataggio.

A tutto questo si aggiunge il 5 – 6% di interesse per i titoli di stato a lungo termine, oltre che un consistente aumento di rendimento per quelli a breve e medio termine: praticamente il colpo di grazia. Non è tanto il valore assoluto degli interessi da pagare ciò che mette in crisi, quanto il fatto che essi siano di gran lunga superiori all’inflazione, segno certo che la macchina economica non produce abbastanza crescita da poter pagare il proprio bisogno di credito. D’altro canto le ricette liberiste sui prodigi che dovrebbe produrre lo smantellamento di diritti e tutele sul lavoro, si sono rivelate (per la verità sono almeno vent’anni che lo si sa) solo dei placebo, anzi dei vicoli ciechi per i ciechi che non se ne accorgono.

Insomma la situazione è in bilico: chiunque è in grado di rendersi conto che a meno di qualche evento straordinario o di una straordinaria crescita di cui però non ci sono né i presupposti, né le tracce, il rischio di default è più che concreto, anzi più che probabile. E che l’unico modo di allontanare la prospettiva è un ritorno alla lira, magari con doppia circolazione assieme all’euro, cosa  che se non altro ridarebbe competitività ai nostri prodotti, soffocati da una moneta unica inadatta al nostro sistema produttivo e ormai anche priva del vantaggio di permettere bassi interessi.

Quindi non c’è nulla di più plausibile di un poligrafico che ad ogni buon conto si prepari alla ristampa delle lire. Non è questo che mi colpisce, non il fatto che con quattro conti della serva, peraltro ormai sempre più diffusi anche sulla stampa internazionale, ci si renda conto che è un’opzione da considerare attentamente. Ciò che mi colpisce è che non se ne parli , che non sia un tema in discussione e che anzi con le pezze al culo ci si ostini a dichiarare di volersi sacrificare per i Paesi forti che traggono tutti i vantaggi dall’attuale situazione. Che insomma ci sia una congiura del silenzio e dell’anatema (forse pure dell’idiozia ideologica) che va molto oltre le ragioni di prudenza pur comprensibili in questi casi. E purtroppo molto indietro rispetto alle possibilità contrattuali che un argomento del genere ci darebbe in Europa.

Così viene il sospetto che questo “mourir pour l’euro” non sia che un modo per cambiare le carte in tavola della politica, sbaraccare i diritti del lavoro, precarizzare tutto in maniera da ottenere un abbassamento reale di salari, svendere il patrimonio dello stato e le filiere produttive a potentati autoctoni o stranieri, cambiare in senso oligarchico la Costituzione, consegnare sovranità a un’incontrastata governance finanziaria: tutte cose che si possono fare solo ricorrendo alla leva della paura e dello stato di eccezione. E solo alla fine del processo rivelare che per non andare in default è necessario tornare alla vecchia moneta.

Sarebbe una perfetta commedia all’italiana, tradotta in un sadico neorealismo bancario.

 

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