Sono cominciate le grandi manovre elettorali e il professor Mario Monti si presenta, non si presenta, forse, vedrà: dipende dai giorni, ma l’occhio e l’orecchio colgono le concrezioni di muffa politichese che c’è dietro tutto questo. Tutto il già visto e il già detto di lunghe e desolanti stagioni politiche che ci hanno portato a questo punto. Ad ogni buon conto il premier comincia la sua campagna con un rullo di tamburo contro la concertazione, nel tentativo di dividere sindacato e centro sinistra, sempre che questa definizioni si attagli agli attuali schieramenti.

L’animus reazionario che si nasconde dentro un modesto cuoricino e un’ intelligenza banale, prorompe con entusiasmo. Ma non è una novità: era avvenuto anche con l’articolo 18, con il nascondimento dei conflitti di interesse di cui questo governo brulica come un cartoccio di camole, con la cooptazione di amici, con interventi al livello dei peggiori governi balneari democristiani: muffa con spruzzate di colore dei Polillo e delle Fornero.

Ma si, i sindacati che sono la rovina dell’Italia, l’articolo 18 che frena le assunzioni: è come tornare in un bar di piazza Cordusio agli inizi degli anni ’80, una macchina del tempo che sa di crudo e caprino. Proprio oggi L’Espresso pubblica un servizio in cui si racconta come mai quasi 300 imprese italiane si siano delocalizzate, non in Asia o in qualche Paese dell’Est, ma  in Austria dove guarda caso il costo del lavoro è più alto che in Italia, dove le tassazioni non scherzano e i sindacati sono forti, ma dove non si devono fare i conti con un’ insensata quando non opaca buropolitica e sopratutto con la mancanza di infrastrutture e servizi all’altezza dei tempi. Un imprenditore del Friuli racconta che gli era impossibile persino avere l’Adsl. Tutto questo si traduce in inefficienza e costi, che sono il vero divide competitivo del Paese.

Altro che articolo 18, altro che concertazione come male e il resto dello stupido chiacchiericcio. Ma noi ci balocchiamo con l’ideologismo dei professori, degli Ichino, di tutta questa archeologia che piace all’Europa nella misura in cui ci fa fuori come concorrenti e ci propone come fornitori di mano d’opera a basso costo e a bassa scolarizzazione. E il fatto che questo trovi tanto favore presso la classe dirigente è la prova del nove della sua incompetenza e del suo vecchiume. Naturalmente per uscirne avremmo bisogno in grandi investimenti sia in strutture che in istruzione e ricerca, ma invece siamo vittime di un’Europa cieca, rimbambita dalla finanza e da una burocrazia di bassissimo profilo visto che l’unica cosa che si sia riuscito a mettere in comune sono gli scarti nazionali. Vittime soprattutto dei ciechi autoctoni che si lasciano guidare senza alcuna resistenza, anzi aderendo, aderendo, aderendo. Aderendo come la muffa al muro.