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I matti del Parlamento

Licia Satirico per il Simplicissimus

«Ho detto che non so che cosa sia la follia. Può essere tutto o niente. È una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia. Invece questa società riconosce la follia come parte della ragione, e la riduce alla ragione nel momento in cui esiste una scienza che si incarica di eliminarla. Il manicomio ha la sua ragione di essere, perché fa diventare razionale l’irrazionale. Quando qualcuno è folle ed entra in un manicomio, smette di essere folle per trasformarsi in malato. Diventa razionale in quanto malato. Il problema è come sciogliere questo nodo, superare la follia istituzionale e riconoscere la follia là dove essa ha origine, come dire, nella vita».

Non trovo altre parole che quelle dello stesso Basaglia per parlare della legge 180 a poco più di trentaquattro anni dalla sua entrata in vigore: una delle poche leggi che abbiano cambiato il volto di questo Paese, restituendo dignità e vita ai pazienti psichiatrici. Una conquista di civiltà accompagnata da polemiche vivaci ma mai, sinora, smentita o rinnegata.
Solo oggi il nostro Paese ha trovato il coraggio di archiviare gli ospedali psichiatrici giudiziari, che dovranno esser chiusi entro i primi tre mesi del 2013. Beninteso, degli “ospedali” gli ex manicomi giudiziari avevano solo il nome. La Corte costituzionale li ha definiti “luoghi di segregazione” a tempo indeterminato per persone non imputabili socialmente pericolose che abbiano commesso un reato (qualsiasi reato, anche bagatellare): un ergastolo bianco che si consuma stancamente ben oltre la sussistenza, vera o presunta, della pericolosità.
Di lager veri e propri si tratta, come dimostrato dalle testimonianze raccolte nel 2011 dalla commissione d’inchiesta del Senato sul Servizio sanitario nazionale: persino per il presidente Napolitano sono luoghi di “estremo orrore” da cui è quasi impossibile che il paziente esca “migliorato”, “guarito” o “rieducato”. In verità già entro lo scorso 31 marzo gli enti locali avrebbero dovuto presentare un piano di accoglimento dei circa 1300 internati nelle sei strutture istituzionali di neutralizzazione della follia delittuosa. Cosa accadrà il prossimo anno al momento della chiusura di quei maelström che sono gli ospedali psichiatrici giudiziari?

Succede che a qualcuno il maelström piace. Lo scorso 17 maggio, in Commissione affari sociali e sanità della Camera, è stata approvata la proposta di riforma della legge 180 avanzata dal deputato Pdl Carlo Ciccioli. La proposta Ciccioli, a dispetto del nome faceto, reintroduce di fatto pesanti forme di custodia neomanicomiale: gli articoli 4 e 5 riesumano gli ospedali psichiatrici tout court prevedendo “trattamenti necessari prolungati” fino a un anno, in palese violazione di quanto previsto dall’articolo 32 della Costituzione.

Non sappiamo ancora quale sarà il destino di questa proposta, per quanto forte sia la speranza che si tratti di una cicciolata, di un equivoco, di un istante – è proprio il caso di dire – di pazzia. In questo momento spicca solo l’infelice coincidenza temporale tra l’annuncio della chiusura degli Opg e la riforma annunciata della legge Basaglia. Ci viene in mente ben altro tipo di coincidenza: i tagli alla spesa pubblica hanno falcidiato le risorse destinate alle unità territoriali di assistenza primaria. Ospedalizzare, rinchiudere, burocratizzare e irreggimentare la malattia mentale è scelta meno impegnativa sotto tutti i punti di vista: il tradimento della legge Basaglia è già avvenuto e si cela tra le pieghe dei pareggi di bilancio, delle spending review, dei sacrifici.
Probabilmente la revisione formale della legge 180 resterà confinata nell’opacità normativa che contraddistingue l’attuale legislatura. Ci auguriamo ostinatamente, però, che il parlamento opaco non affidi solo alle regioni il piano di accoglimento dei pazienti degli ospedali psichiatrici giudiziari: occorre ridisegnare con urgenza il sistema delle misure di sicurezza detentive, risalente al 1930, e renderlo coerente col senso di umanità delle pene di cui parla la Costituzione. Perché la follia ha la stessa matrice imponderabile dell’esistenza.

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