Anna Lombroso per il Simplicissimus

“Non possiamo chiedere al vescovo di diventare un pubblico ufficiale: formalizzare la richiesta al vescovo di denunciare i casi di abuso vuol dire andare contro l’ordinamento…”.

Questa inopportuna manifestazione di disubbidienza civile viene dal segretario generale della Cei, monsignor Mariano Crociata: l’occasione era la presentazione n Vaticano delle linee guida per i casi di abuso sessuale da parte del clero messe a punto dalla conferenza episcopale. Nel respingere sdegnosamente l’idea dell’istituzione di un  “soggetto”   responsabile della materia, presente invece  in moltissimi altri paesi, Crociata (quando si dice il nome…) ha riconfermato l valore egemone, il potere assoluto  per non dire dispotico della figura del vescovo:  “In Italia, ha detto,  non c’è bisogno di un’autorità terza per seguire questi casi, il vescovo è responsabile di tutto nella propria diocesi anche in questo campo”. Così, secondo quanto previsto dall’attuale legislazione italiana e dagli accordi concordatari, “i vescovi sono esonerati dall’obbligo di deporre o di esibire documenti in merito a quanto conosciuto o detenuto per ragioni del proprio ministero, in quanto nell’ordinamento italiano,   il vescovo, non rivestendo la qualifica di pubblico ufficiale né di incaricato di pubblico servizio, non ha l’obbligo giuridico di denunciare all’autorità giudiziaria statuale le notizie che abbia ricevuto in merito ai fatti illeciti” di abuso sessuale da parte del clero”.

E  le linee guida rincarano la dose: “Eventuali informazioni o atti concernenti un procedimento giudiziario canonico possono essere richiesti dall’autorità giudiziaria dello Stato, ma non possono costituire oggetto di un ordine di esibizione o di sequestro”.  E ancora ribadisce:  “rimane ferma l’inviolabilità dell’archivio segreto del vescovo”  fino all’oltraggio: “nessuna responsabilità, diretta o indiretta, per gli eventuali abusi sussiste in capo alla Santa Sede o alla Conferenza episcopale italiana”.

D’altra parte cosa potevamo aspettarci se non la totale e entusiastica adesione alla prassi applicata dlla loro più alta autorità un po’ di metri sotto il cielo – e la morale verrebbe da dire –  quel Ratzinger     autore di un documento  che ha segnato di infamia e di colpevole collusione la posizione della chiesa messa di fronte a crimini odiosi commessi dai suoi servitori e che era stato edificato come una impalcatura “giuridica” a copertura degli immondi abusi perpetrati e coperti per secoli, dei delitti più odiosi,   quelli che tolgono  sorriso, innocenza, futuro a bambini e adolescenti, compromettendone l’esistenza, popolando il loro domani di spettri e trasformando l’aspettativa in paura degli altri e dell’amore.

La De Delictis Gravioribus a sua firma, attribuiva alla Congregazione per la dottrina della fede, una propria autonoma “giurisdizione” che aveva il suo decorso dal momento della denuncia di un eventuale crimine sessuale, fino ai dieci anni successivi al giorno in cui il minore avesse compiuto i diciotto anni d’età.
Secondo  il “manuale di istruzioni” del Pastore, i resoconti delle “indagini preliminari” su ogni singolo caso di abuso avrebbero dovuto essere inviati al suo ufficio,  il quale ne avrebbe riferito a speciali tribunali vaticani, al cui interno le cariche di giudice, pubblico ministero, notaio e rappresentante legale venivano ricoperte esclusivamente da ecclesiastici. “Situazioni di questo tipo sono coperte dal segreto pontificio”, concludeva la lettera di Ratzinger, e l’infrazione del segreto pontificio veniva intesa come una grave trasgressione, quella sì,  perseguibile anche attraverso la scomunica.
Viviamo in un paese nel quale la sovranità dello Stato è stata progressivamente erosa, uno Stato espropriato via via a beneficio del mercato, dell’interesse privato, delle banche, di un ceto avido e separato dai cittadini. In cui lo stato di diritto è stato  mortificato da leggi ad personam, dalla criminalizzazione della magistratura come potere ostile, dalla cancellazione della libera espressione dei cittadini.  Si è permesso che la patria del diritto umiliasse la giustizia nei tribunale, ma anche nella società  soffocando i diritti del lavoro, manipolando irreparabilmente  la Costituzione, creando disuguaglianze sempre più profonde e inique.

Oggi la Cei da’ un picconata all’edificio del diritto e dei diritti, sottraendo le gerarchie della Chiesa all’adempimento degli obblighi e dei doveri dei cittadini, non come in un potere o in uno stato separato, ma in un vero e proprio contro-stato.

Completano l’operazione eseguita da sempre di trasformare le loro indicazioni dottrinali in norme di legge da far valere per tutti, configgendo con le norme di legge che valgono per tutti.  Tutti, salvo loro, sia pure colpevoli, sia pure collusi, sia pure complici .

Ancora una volta a noi laici, ma ancor più alla comunità di credenti che si riconosce nella Chiesa, corre l’obbligo di disconoscere le sue gerarchie, di denunciarne gli abusi, anche quelli contro l’appartenenza a una cittadinanza che crede alle leggi dell’uomo oltre che a quelle di Dio.