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La sottogiustizia

Licia Satirico per il Simplicissimus

E per la dea bendata tutto fu naufragio: nell’arco di poche ore i sottosegretari alla giustizia si sono imbattuti, in modo diverso, in un’ampia gamma di reati. Il primo, Andrea Zoppini, ordinario di diritto privato all’università di Roma Tre, si è dimesso dopo aver saputo di essere indagato per illeciti fiscali di una certa consistenza: avrebbe, in veste di consulente, aiutato tre imprenditori del novarese a realizzare una frode fiscale di portata transnazionale, ricevendo per i suoi servigi compensi in nero e su fondi esteri.

Il secondo, Salvatore Mazzamuto, a sua volta ordinario di diritto privato all’università di Roma Tre ed ex consulente di Angelino Alfano, si è precipitosamente recato a Palazzo Madama, solo soletto, per sostituire Zoppini in una riunione congiunta delle Commissioni giustizia e affari costituzionali. Lì, disorientato e impreparato (“questa roba non l’ho studiata”, ha dichiarato a Repubblica), ha votato alla rinfusa contro gli orientamenti del governo su corruzione e falso in bilancio, adducendo come scusa la fretta di rimpiazzare il collega: effetti ansiogeni degli avvisi di garanzia? Miopia giuridica temporanea? Svista eclatante? Mazzamuto se la prende con l’ufficio legislativo di via Arenula, che gli avrebbe fornito un prospetto – forse in sanscrito – talmente pieno di omissis da indurre in errore giusto i deputati di Pdl, Fli e Udc: gli ingenui Enrico Costa, Manlio Contento (autore del testo sul falso in bilancio approvato in commissione), Francesco Paolo Sisto, Maurizio Paniz e Luigi Vitali, tutti vicini al mentore Ghedini.

La Guardasigilli, in trasferta negli States, è nella bufera per l’impantanamento della legge anticorruzione e, soprattutto, per lo scivolone sul falso in bilancio, che ha aggirato la paventata reintroduzione di pene fino a cinque anni a vantaggio di una variazione quasi simbolica della norma vigente. Pesante la Pd Donatella Ferranti: «assente il ministro Severino, si è realizzata una caduta pesante di coerenza che ha portato a uccidere la proposta di riforma di falso in bilancio».

Urge la ricerca di un capro espiatorio: mentre Zoppini, ritenuto un tecnico di alto profilo, è elogiato per il suo senso di responsabilità, Mazzamuto si assume con riserva la colpa dell’accaduto. Prende corpo, nel frattempo, l’ipotesi di una talpa del Pdl in via Arenula. Di Pietro lascia intendere che il marcio si annidi proprio negli uffici legislativi diretti da Augusta Iannini, moglie di Bruno Vespa e amica di Paola Severino.
Spezzo una lancia a favore della Iannini. A parte il fatto che, secondo questa chiave di lettura, la “talpa” non sarebbe più un mammifero soricomorfo ma un imenottero imparentato con salotti e plastici, c’è da chiedersi francamente a cosa serva mai una talpa con un Mazzamuto impreparato e un parlamento non disposto a negoziare pene più severe per corruttori e falsificatori di bilanci. La riforma dei delitti di corruzione è stata sottoposta a condizioni ben precise, che prevedono – in base a quanto si è già avuto modo di capire – l’abolizione di alcune forme di concussione, il bavaglio alle intercettazioni e la responsabilità civile dei giudici. Un tema di rilievo fondamentale diventa così oggetto di baratto politico in un paese paralizzato dalla cattiva giustizia come dalla cattiva economia.

Ghedini, soddisfatto, sostiene sereno che il processo Ruby non ha bisogno di nuove leggi ad personam. Di certo non ne abbiamo bisogno noi, amareggiati stanchi e confusi tra viceministri sprovveduti e indagati, ministri esitanti e parlamentari boicottanti. Poche ore fa Mario Landolfi, deputato Pdl, è stato rinviato a giudizio per concorso in corruzione e truffa, con l’aggravante di aver agito per favorire un clan camorristico. Il deputato-imputato invoca Enzo Tortora e parla di persecuzione giudiziaria. In un parlamento così composto parlare di corruzione diventa quasi ineducato: è un po’ come parlare di corda in casa dell’impiccato. L’ignaro Mazzamuto si è preoccupato troppo: l’unica talpa, ma solo nel senso del buio istituzionale, è lui.

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