Licia Satirico per il Simplicissimus

Elsa Fornero torna a indossare i panni della professoressa per commentare nel suo stile alcuni dati sull’istruzione dei ragazzi italiani, di età compresa tra i 18 e i 24 anni, con diploma di scuola media inferiore e non inseriti in altri percorsi formativi. Secondo la ministra del Welfare «i nostri giovani sanno troppo poco. Non conoscono le lingue, l’italiano compreso, e neanche i rudimenti della matematica. Non sanno fare di conto». Anche il giudizio sui laureati non è per nulla benevolo: «se si prende in considerazione la posizione di persone tra i 30 e i 34 anni con titolo di studio universitario si nota che il dato complessivo in Europa è del 33,6 per cento, in Italia del 19,8 per cento, mentre in Francia del 43,5 per cento, in Germania del 30 per cento, nel Regno Unito del 43 per cento. I nostri giovani dunque studiano ancora troppo poco». Ignoriamo se le conoscenze matematiche dei giovani siano state testate col calcolo degli esodati. Nelle sconfortanti considerazioni sulla percentuale dei laureati si coglie invece l’eco degli sfigati di martoniana memoria, così restii a terminare gli studi e a inserirsi proficuamente nel mercato del lavoro. Le parole tranchant della ministra vengono peraltro rese note nelle stesse ore in cui il linguista Tullio De Mauro, in occasione delle Olimpiadi dell’italiano disputatesi a Firenze, ha annunciato che il rapporto dei giovani con la lingua italiana è molto migliorato. I giovani padroneggiano la lingua meglio di molti adulti, e la divisione generazionale si concentra sull’uso peculiare di certe espressioni: “paccata” è, ad esempio, locuzione estranea al linguaggio giovanile e propria dei ministri tecnici. LaFornero affonda il dito in una piaga antica, insinuando che è colpa del pessimo livello di istruzione generale se i giovani non trovano un impiego talmente flessibile da diventare evanescente. Il che equivarrebbe, in condizioni normali, ad ammettere in modo tortuoso il disastro dell’istruzione in Italia: solo negli ultimi dieci anni gli stanziamenti per la scuola pubblica sono passati dai 269 milioni di euro del 2001 ai 79 del 2011, riducendosi del 71 per cento fino a raggiungere il misero 3,7% del Pil. Ma la spending review annunciata dal ministro Giarda identifica la scuola come ennesimo bersaglio di nuove sforbiciate in nome dell’efficienza e del risparmio. Le cose non migliorano sul fronte dell’università pubblica, trasformata in un pout pourri di verticismo burocratico, riduzione di autonomia e perdita di risorse (specialmente per l’area umanistica, ritenuta inutile dalla Weltanschauung di internet inglese impresa). Il ministro Profumo, ponendosi in sostanziale continuità con la Gelmini, ha confermato l’ulteriore riduzione del fondo di finanziamento ordinario per gli atenei: in tempi di crisi l’università non può scialare. Possiamo consolarci solo col fallimento solenne del sondaggio online sull’abolizione del valore legale del titolo di studio. Il fatto è che Elsa Fornero non intendeva affatto riconoscere il default dell’istruzione e assumersene in qualche modo, da membro del governo in carica, la corresponsabilità: la ministra ha bacchettato i ragazzi che studiano troppo poco e non sanno costruire il loro futuro, senza essere sfiorata dal dubbio che proprio il futuro sia stato scippato ai giovani in tanti modi. Lo scippo del futuro inizia con l’impoverimento delle risorse per cultura e istruzione, terminando con l’eliminazione delle garanzie del lavoro.  Ma su questo punto la ministra eloquentemente tace. C’è un solo modo per ridare all’Italia la possibilità di crescere: investire nell’istruzione, nella cultura, nella ricerca, come fanno del resto Francia, Germania e Regno Unito incautamente citati da LaFornero. Per la titolare del Welfare i giovani, nel nostro Paese, sono abbandonati a se stessi. Cominciamo a restituire loro diritti orizzonti libri arte poesia e musica: si sentiranno molto meno soli.