Credere, obbedire, votare. E’ un ‘italia desolata come quella delle grida di battaglia stampate sui muri delle case, quella si sta preparando . La capogruppo del Pd al Senato  ha infatti una sorprendente tesi per motivare il voto che ha alleviato il contributo una tantum che i grandi stipendi e le pensioni d’oro e diamanti dovranno pagare: ” il Governo ci aveva chiesto di votare secondo le sue indicazioni e noi ci siamo comportati con lealta’ nei suoi confronti”.

Ora se c’è una cosa certa  è che i parlamentari dovrebbero fedeltà ai propri elettori e non a un governo, men che meno a un governo  di Palazzo con gente non eletta da nessuno, ancorché i suddetti si sentano degli eletti. Ed era ben nota l’ostilità assoluta della stragrande maggioranza dei cittadini nei confronti di questo ennesimo passo indietro dell’esecutivo che quando si tratta di fare qualcosa di equo si tira indietro come se fosse sull’orlo del precipizio. Il vero padrone dei partiti dovrebbe essere l’elettorato,, ma evidentemente succede come per quei barboncini che messi in compagnia di molti umani sembrano entrare in crisi riguardo alla fedeltà, spesso concedendola ad altri.

Naturalmente la Finocchiaro, come gli altri eminenti strateghi del partito si sono accorti in ritardo di aver fatto un errore clamoroso sul piano di immagine e simbolico e ora tacciono o balbettano giustificazioni tra il penoso e il politichese. Anna cuor di D’alema, ci dice adesso che il “voto è stato controverso” e che “se si è commesso un errore” si rimedierà alla Camera. L’errore c’è stato senza se e senza ma, un errore politico più che nei fatti: quello di mostrare che i vlasti, i potenti e i benestanti combattono con le unghie e con i denti fino all’ultimo spicciolo, mentre per milioni di persone si cancellano alla leggera diritti e anni di vita.

Ma  su Facebook la Finocchiaro, non contenta di  squadernare l’immagine di un Pd sdisposto a votare qualsiasi cosa se lo chiede il governo, tenta poi, in contraddizione con l’impercettbile mea culpa precedente, di sostenere che in realtà il voto a favore è stato giustissimo e le critiche sono sono solo frutto di cattiva informazione o di malafede. Quest’ultima versione priva di qualsiasi falda di cenere con la quale da cospargersi il capo, dimostra in realtà che la Finocchiaro per prima era totalmente al’oscuro della questione, cosa assolutamente comprensibile per un comune cittadino, ma non per un capogruppo del Senato.

In secondo luogo il fatto che , grazie a questo voto, la riduzione del tetto di stipendio per manager di stato milionari non venga conteggiata nel computo dei contributi pensionistici e che se non lo si fosse fatto, si sarebbe andati incontro a cause vittoriose , dimostra due cose: intanto che quando si tratta di retribuzioni da centinaia di migliaia di euro l’anno si è molto attenti a fare in modo che ci siano scappatoie legali: si fanno le cose alla carlona, proprio perché  si possa tornare indietro con qualche pretesto. E poi che l’attenzione spasmodica  a salvare pensioni d’oro, in modo che non rischino di diminuire di qualche decimale , fa davvero a pugni con la facilità con cui per ” gli altri” si aumenta di anni all’improvviso l’età pensionabile o si tagliano di cifre consistenti pensioni già di per sé misere.

Ecco, gli elettori, i comuni cittadini, non dovrebbero essere “gli altri” per un partito. Lo sono quando ci si vuole incistare in una casta così poco attenta al bene comune, quanto superciliosa e arrogante riguardo ai propri privilegi. Ha capito, signora Finocchiaro, perché quel voto è stato un errore? Ci pensi, magari con calma, con gesso e tenga sempre a disposizione un po’ di cenere: una volta ci si lavavano i panni, ora almeno ci si può lavare un po’ di cattiva coscienza.