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J’accuse: i ricchi sono colpevoli

Anna Lombroso per il Simplicissimus

Mi sembrava di essere stata perfino bonaria nell’aver dato solo della sciocchina a una blasonata e sfrontata  ragazza che dall’alto dei suoi immeritati privilegi aveva dileggiato i suoi coetanei, precari, disperati, cornuti e mazziati. Invece sono stata accusata delle peggiori nequizie: invidia, risentimento, rancore, malevolenza e in ultimo perfino moralismo che nella latitanza della morale, sembra essere quella più infamante.  Perché, così mi è stato detto, essere ricchi non è una colpa. Come non lo sarebbe essere privilegiati e per questo avere delle facilitazioni.

Deve essersi verificato un penoso stravolgimento di etica, pensiero critico, buongusto e buonsenso se non si coglie la differenza tra la festosa condizione di unti del signore e l’approfittarsene fino all’oltraggio di chi non si trova negli stessi opulenti panni. E nel non voler vedere che chi si compiace di favorirlo a discapito di eleganza integrità e uguaglianza lo fa per motivi non certamente nobili: contiguità coi poteri, interesse più o meno diretto, provocazione. Senza contare che essere un’ereditiera non sarà  un crimine. Ma certo è probabile che fortune così cospicue, incrementate da matrimoni e lasciti, oltre che da pingui frequentazioni, possano presentare tra le pieghe, negli interstizi, sotto gli ermellini e i damaschi qualche inquietante sfumatura se non criminale, certo non perfettamente legale. Perché perfino i fan del fasto e della dea bendata – e tendenzialmente ingiusta -dovranno convenire che è difficile sostenere che la via della ricchezza, come quella del potere d’altro canto, possano essere davvero virtuose.

Siamo alle solite, le mie accusatrici proprio come i ministri del governo in carica mostrano una delicata indulgenza e una dolce comprensione per i ricchi mentre riservano a noi straccioni legittimamente incazzati i moniti di una pedagogia severa e intransigente, chè si sa se siamo poveri ce la siamo voluta, abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità e dei nostri meriti, scialacquando, incuranti della larghissima forbice tra salari e potere di acquisto, per concederci lussi sibaritici, spaghetti co’ la pummarola n’goppa, mutui per compraci la prima casa e anche per pagare le tasse, ticket, istruzione, assistenza e anche per alimentare i vizi privati e pubblici di un ceto scapestrato e il gioco d’azzardo finanziario.

Ma guardate che questa è la nuova forma che ha   assunto la lotta  di classe, quella dei ricchi contro i poveri, perché a loro è riuscito quello che non è riuscito al proletariato, unirsi per fotterci. Eh si avrete notato che scado nel turpiloquio, perfino io che lo condannavo. Ma è inevitabile che succeda quando si è in collera, una collera nera e profonda nei confronti di chi  con molti insospettabili correi, vuole persuaderci   che certi valori   e certe garanzie si possano sopprimere perchè non sarebbero riconducibili a bisogni collettivi, consapevoli e condivisi, e soprattutto perché non ci sarebbe una classe, un partito, una moltitudine a rivendicarli, rappresentarli, difenderli.  Gentili signore,  commentatori disinvolti, politici victim del pragmatismo e opinionisti addict di modernismo vogliono convincerci  che la lotta di classe è morta perché non ci sono più i contendenti, ridotta  a  uno stereotipo frusto e arcaico,  un vecchiume, un  residuato della rivoluzione industriale.  In  modo da dare legittimità alla cancellazione di diritti e conquiste, ché tanto non si vedono manifestazioni di massa attribuibili a un “ceto” o partiti di peso elettorale o parlamentare che per statuto o programma li testimonino e difendano. Insomma vogliono farci credere che,  non essendo le classi “visibili” e la loro lotta distinguibile, non esistano più.

Ma una classe c’è e si muove da invincibile, perchè le diamo corda e potenza. È   quella dei padroni, quella dominante   e ancora più poderosa, una implacabile   “cupola” planetaria, fatta di grandi patrimoni, di alti dirigenti del sistema finanziario, di politici che intrecciano patti opachi con i proprietari terrieri dei paesi emergenti, di tycoon dell’informazione, insomma quella classe capitalistica transnazionale che domina il mondo e è cresciuta in paesi che si affacciano sullo scenario planetario grazie all’entità numerica e al patrimonio controllato e che rappresenta   decine di trilioni di dollari e di euro che per almeno l’80% sono costituiti dai nostri risparmi dei lavoratori,  che vengono gestiti a totale discrezione dai dirigenti dei vari fondi, dalle compagnie di assicurazioni o altri organismi affini.

Servita da  quelli che qualcuno ha chiamato i capitalisti per procura, poteri forti per la facoltà che hanno di decidere le strategie di investimento, i piani di sviluppo, le linee di produzione anche di quel che resta dell’economia reale, secondo i comandi di una cerchia ristretta e rapace, banche, imprese, investitori e speculatori più o meno istituzionali. Insomma quei ricchi “incolpevoli” secondo alcuni, di esserlo.

Ma di colpe ereditate o commesse in prima persona, questa classe dominante globale che esiste in tutti i paesi sia pure con pesi differenti,  ne ha  e ne avrà  se la  lasciamo fare: perché  contrasto al  sviluppo, anzi la sopravvivenza di classi sociali che possono minacciare la sua egemonia e alla sovranità degli stati.  Si accanisce contro i ceti che avevano acquisito miglioramenti economici e sociali e contro quelli che vi voglio accedere. Ha un collante ideologico poderoso, cantieri di elaborazione ideologica cui aderiscono esponenti del nostro governo, esercita una pressione   tale da condizionare leggi in materia di politiche fiscali, delle relazioni industriali, di privatizzazione, di beni comuni. Salvo tornare ai vecchi metodi   sperimentati, l’espulsione dalle terre dei contadini, la riduzione dei fondi per la cooperazione o per la lotta alla fame, ma anche l’offensiva contro i sindacati.

E finchè troveranno una sponda di elegante infamia continueranno indisturbati a  condurre la loro guerra dall’alto   contro il basso, negandoci perfino lo status  di  classe riducendoci a    moltitudine disordinata e inconsapevole, a una massa misera e infantile da guidare con mano di ferro, a un formicolare spaventato intorno al disgregarsi della socievolezza, della solidarietà, della cittadinanza.

Io li accuso, sono colpevoli. Ma accuso anche noi, siamo colpevoli contro noi stessi  se consentiamo loro di vincere la guerra.

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