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Non è ancora il 25 aprile

Le truppe di occupazione vorrebbero farne un rito, una sorta di innocua messa cantata con tanto di vescovi e chierichetti della politica, qualcosa di inerte che con la scusa di ricordare e onorare il passato faccia dimenticare il presente. Il loro presente opaco come piombo. Ma la falsa unità d’intenti viene  imposta dai grandi cerimonieri e da presidenti che nella loro ansia di esserlo  per tutti  non lo sono più per nessuno se non per il ceto politico. Così a celebrare il 25 aprile a Roma avrebbero voluto imporsi pure Alemanno e Polverini,  due deiezioni della seconda repubblica, fascistelli avidi e sfrontati nel loro saccheggio della cosa pubblica.

Il voler fare del 25 aprile la festa di tutti, non significa affatto riconoscere le radici della Repubblica e della Costituzione, esprime invece la volontà di sterilizzarla, di renderla un muto reperto, di ritualizzarla fino a che non significhi più nulla. Tanto che persino Berlusconi si convinse a celebrarla. Non è un caso che la festa della democrazia è sulla bocca di chi la vorrebbe tarpare, di chi aggredisce la Carta fondamentale a colpi di liberismo, di chi vuole stravolgere l’idea sociale dello Stato. Persino la sobria e confusa testa di legno, il servile gauleiter messo da Berlino che vorrebbe paragonare il suo ubbidire alle banche come a una liberazione. Eh no, il 25 aprile è  la festa  di chi non vuole cedere agli invasori, ai regimi, ai distruttori di democrazia e di speranze, non quella dei collaborazionisti di questa immensa Vichy dei poteri finanziari che è diventata l’Europa.

Anzi non è una più una festa in cui si ricorda qualcosa, è una giornata di lotta contro le nuove oppressioni, le nuove viltà,  i milioni di imboscati dentro questa nuova battaglia. Anzi non è ancora il 25 aprile: deve ancora arrivare.

 

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