Anna Lombroso per il Simplicissimus

In mancanza dell’annuario della nobiltà, che sfortunatamente non annovero nella mia sia pur nutrita libreria, cito da Wikipedia: è figlia naturale (da genitori non sposati) del conte Carlo Ferdinando, appartenente alla storica e potente famiglia nobile milanese, e di Paola dei conti Marzotto. È dunque: nipote di Marta Marzotto e del conte Umberto Marzotto, sorella di Carlo e sorellastra di Lavinia, (moglie del Presidente della Fiat), di Isabella (moglie di Ugo Maria Brachetti Peretti, proprietario della Api), di Matilde (moglie dell’ereditiere Principe Antonius von Fürstenberg), nipote di Matteo Marzotto presidente della casa di moda Valentino S.p. A. E è fidanzata conPierre Casiraghi. Oh ecco, ma è inutile malignare, Santoro ad AnnoZero, Radio 105 Network, la rivista Above, casualmente diretta dalla sua quasi cognata e lo schizzinoso Fatto Quotidiano, noto per le sue battaglie contro il familismo e il clientelismo l’hanno voluta per i suoi meriti e la sua competenza. E non solo in araldica, che dovrà aver studiato con abnegazione non foss’altro che per aggiornare il già frondoso albero genealogico con opportune ramificazioni e proficui innesti. Beatrice Borromeo – che di lei si parla – dopo il diploma al Berchet di Milano ha conseguito la laurea magistrale a ciclo unico – che pare una caldaia del sapere – all’immancabile Università Commerciale Bocconi nota per aver cinto d’alloro Monti ed anche la Tommasi, insomma la crème de la crème. Sempre Wikipedia ci fa anche sapere che per non lasciare inesplorato nessun settore professionale e merceologico, la contessa che è stata scelta come testimonial di alcune griffe, ha anche sfilato per molte case di moda. E d’altra parte si legge sugli innumerevoli ritagli che la riguardano, è avvenente e dunque non poteva esserle negata l’opportunità di imporsi anche per questo “merito” aggiuntivo alle altre strabilianti qualità.

Eppure. Eppure non è soddisfatta, non le bastano successi, riconoscimenti e pingui contratti. La temporanea eclissi deve averla convinta dell’opportunità perfezionare il suo bagaglio professionale media, così dal suo blog sul Fatto ha annunciato un esilio di studio destinazione Columbia University per frequentare un Master in giornalismo che durerà qualche mese. «Non si scrive mai dei fatti propri, ma faccio un’eccezione per salutarvi e ringraziarvi. Ieri è stato il mio ultimo giorno di lavoro nella redazione di via Valadier: sono in partenza per un master di giornalismo alla Columbia University che durerà qualche mese. Quando si lavora in un posto come il Fatto Quotidiano, ci si pensa due volte prima di imbarcarsi in un’altra avventura. Io ci ho pensato venti volte, ho chiesto consigli, ho deciso di andare e poi di restare, ho cambiato idea in continuazione. Poi ho scelto di partire perché credo che questo master mi servirà per diventare più brava e poter contribuire di più a questo giornale». E nell’accomiatarsi, con una vena di risentito rammarico per l’irriconoscenza di questo Paese cui ha dato tanto, invita tutti i giovani, quelli che con ammirevole sagacia aveva intervistato e i milioni che non avevano goduto di quella formidabile opportunità, a fare altrettanto. Eh si, fa intendere, è meglio andarsene da questa nazione che non aiuta le belle speranze, non favorisce i talenti, non promuove il ricambio.

Della Borromeo io personalmente ricordo due cose. Una voce querula che mi fa sospettare che non sia nemmeno poi tanto attraente: dò ragione a Adorno quando dice che da una battuta al telefono si può capire se una donna è bella o no, perché la voce assorbe l’ammirazione, gli sguardi rapiti, l’incanto esercitato. E il fatto che secondo una tradizione televisiva, consolidata con successo proprio da Rai 3, si preparava o si faceva preparare il suo calepino di domande che sparava nella sequenza prestabilita, incurante delle risposte dei malcapitati intervistati. Da adesso invece avrò un motivo in più per rammentare il suo blasonato nome e quindi per evitarla in ogni occasione. È che una volta, prima della clamorosa caduta di inestimabili pudori in favore di esuberanti franchezze, di glutei esibiti, di confessioni intestinali, di outing sessuali e di spiattellamenti narcisistici, gli imbecilli, ancorchè fieri per blasone gentilizio e censo, non erano così perentori e anche, diciamolo, così autolesionisti nell’esprimersi. Venivano coltivate, grazie a nannies arcigne, collegi più efficaci della Bocconi, maestri privati meno indulgenti della Fornero, quelle buone maniere, quelle regole di etichetta che nutrivano un certo ritegno, quell’encomiabile riguardo che permetteva alle signorine di buona famiglia di comparire sui giornali solo tre volte, nascita, matrimonio e morte.

Ma erano altri tempi, la Borromeo grazie al colpevole sdoganamento del cretino, cui tanto hanno contribuito i suoi influenti protettori, gli stessi che hanno anche provveduto a rendere accettabile anzi desiderabile ogni sorta di inoppugnabili malfattori e cialtroni, sindacaliste fasciste, leghisti territorialmente invidiabili, saltimbanchi della politica, non contenta di avere potuto approfittare senza scrupoli delle sue doviziose rendite di posizione, attribuisce la sua momentanea penombra senza scrupoli, senza vergogna, senza decenza, ai tempi avversi, all’ingratitudine del Paese, all’iniquità generazionale di mandarini della politica. Si intrufola da clandestina e immeritatamente nelle schiere di chi avrebbe diritto a lamentarsi di secolari emarginazioni o di nuovi soprusi, si insinua proditoriamente negli interstizi del malessere legittimo per prendere sonoramente per il culo chi è sommerso, vulnerato, tradito. Non so che pena dovrebbe essere comminata per il cinismo, la viltà, la disonestà intellettuale, la meschinità, ma alla sovraesposta contessina infliggerei quella più sgradita: il silenzio e la tenebra dell’impopolarità.