Nel paese dei campanelli si sta creando un altro paradosso: che la voglia di politica, di idee, di cambiamento vero e non volto all’aggressione della civiltà e dei diritti, rischia di passare per antipolitica. Pensiamoci, ogni giorno sappiamo qualcosa di nuovo riguardo all’uso demenziale del finanziamento pubblico, ogni giorno abbiamo la prova che esso non serve alla partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, come prescriverebbe la Costituzione, ma piuttosto alla loro esclusione e ogni tanto abbiamo la prova che le formazioni politiche non intendono rinunciarvi: invocano con etica accorata controlli stringenti, ma ciò che propongono è addirittura più indulgente della vecchia normativa con i suoi spaghetti al caviale, i suoi diamanti, le lauree, le fondazioni, le clientele.

In compenso non sappiamo assolutamente nulla delle idee e prospettive che i partiti intendono esprimere: tutto è devoluto al massacro montiano, senza che emerga la minima traccia  di politica. Anche oggi una lunga intervista a Bersani non produce la minima idea al di fuori delle solite convoluzioni politicanti, descritte per giunta con paraplegica incertezza. Cose che non hanno senso in un momento nel quale la capacità di immaginare il futuro e un futuro diverso da questa coda del berlusconismo  e del liberismo in salsa Buba che stiamo attraversando.

Quindi non so davvero da parte stia l’antipolitica se dalla parte di chi pretenderebbe che venissero espresse delle idee o dalla parte di chi le nega essendosi ormai seduto sulla vita di apparato e giocando esclusivamente sui balletti di alleanze. Non si tratta di contestare l’esistenza dei partiti, al contrario si tratta invece di averli realmente al posto delle attuali organizzazioni economiche e di interesse costrette o al mutismo assoluto o a difendere interessi oligarchici. Non è nemmeno questione di finanziamento pubblico: non ci vorrebbe niente a ridurlo a dimensioni umane, a renderlo qualcosa in grado di far lievitare la partecipazione dei cittadini e non un premio elettorale per i signori delle tessere e delle camarille. A riacquistare credibilità. Ma ormai i soldi e i soldi abbondanti (che hanno tante strade e non solo quello del finanziamento pubblico) hanno finito per essere un succedaneo del consenso e delle idee.

Per questo da più parti si auspica la nascita di nuovi soggetti politici in grado di di dire un parola sul futuro del Paese, sulla sua società, in grado di esprimere delle speranze: perché la prima fila dell’antipolitica non è occupata dai retori d’accatto, dai “fascisti” del fare di tutta l’erba un fascio, dall’inconsapevolezza al potere, ma proprio dai partiti e dai loro apparati che esprimono ormai solo una totale autoreferenzialità. L’antipolitica, come insegna la storia del Novecento è frutto della carenza di politica, l’altra faccia della stessa moneta che amara per tutti. E ormai in questo Paese c’è n’è una devastante carestia