Anna Lombroso per il Simplicissimus

Ormai più importuno che inopportuno il presidente del consiglio, intento a metterci in liquidazione all’estero e entro la cinta muraria, rivela la preoccupazione di non farcela a eseguire gli ordini ricevuti: dal suo tour turistico lancia avvertimenti trasversali, minaccia, ricatta, intimidisce, ma dismessa la fase di delirio di onnipotenza, sembrerebbe convertito al tragitto da un appartato Aventino al meritato Quirinale.
Mostra la corda l’edificio della sua ‘fabbrica del falso”, non è passata la fase più grave della tormenta. Forse gli è chiaro che si sta profilando una seconda immersione, ancora più grave, nella Grande Recessione, se non nel Grande Crollo. L’istinto, segretamente ma protervamente suicida, forse, di chi governa l’età dell’ingordigia gli ha chiesto l’impossibile, trasformare un paese in una colonia assoggettata e silenziosa. Invece pare che non siamo pronti a essere schiavi, anche se finora molto è stato fatto e troppo abbiamo sopportato.

A cominciare da una riforma del mercato del lavoro costruita esclusivamente attorno a due obiettivi. Favorire il calo della spesa previdenziale, quindi contribuire al raggiungimento del pareggio di bilancio reso costituzionalmente obbligatorio, un risultato, questo, che nemmeno Berlusconi e Tremonti avevano potuto conseguire. E’ stato calcolato dall’Inps che l’Aspi costerà 2 miliardi all’anno, mentre la parallela abrogazione della cassa integrazione straordinaria per crisi aziendale, dell’indennità di mobilità e di quella di disoccupazione comporterà un risparmio di 4,5 miliardi circa, con un beneficio netto per le casse dell’INPS di 2,5 miliardi all’anno. Inoltre, l’introduzione dell’imposta di 1,4 punti calcolata sulle retribuzioni dei precari permetterebbe un gettito aggiuntivo pari a 700-750 milioni di euro, a spese dei lavoratori. Quindi, fra minori spese e maggiori entrate, il bilancio pubblico avrà un beneficio di circa 3-3,3 miliardi di euro all’anno. Il secondo obiettivo è quello ormai esplicito di promuovere l’espulsione di personale, grazie alla flessibilità in uscita, infilandoci in un tunnel di recessione, ben oltre il solo 2012 ed anche il 2013 (anni in cui, secondo le stime del FMI, il PIL italiano scenderà complessivamente di 2,8 punti, un dato già “greco”).

Sarà deluso e risentito, ma certo ha portato una bella preda ai suoi padroni: la certezza della recessione che significa una consegna arresa e ineluttabile della sovranità, segnata come una firma col sangue, dalla sottoscrizione del fiscal compact, che comporterà l’esigenza implacabile di effettuare a ripetizione manovre finanziarie di ben oltre 40 – 43 miliardi nei primi anni, per scendere, si dice, attorno ai 35 miliardi negli anni successivi, per circa venti anni, chè pare che l’Italia sia condannata a ventenni di umiliazione e tenebre. E certo non ci salveranno imprese dell’estremo oriente che pagano i loro operai 100 euro al mese, che godono già della suprema flessibilità. E che potrebbero essere interessate a sfruttare bacini di consumo interno (già definitivamente distrutto), ma soprattutto ad accedere a giacimenti di competenze professionali o scientifico-tecnologiche, insomma a quella qualità che il governo Monti ha trascurato nel segno della continuità del disfacimento strutturale del sistema formativo, educativo e della ricerca. Ormai siamo appetibili solo per governi e potenze cannibali e destinati alla più infelice delle decrescite con una riduzione del benessere accompagnata da una impennata delle diseguaglianze distributive e degli impatti devastanti sull’ambiente.

Questo governo “simbolista” si deve arrendere: Monti non è un tabù. E non deve esserlo nemmeno, tanto per cominciare, il pareggio di bilancio che resta il suo vessillo. Inserire nella Costituzione il vincolo di pareggio del bilancio è una scelta ideologica prima che politica improvvida, perché aggiunge ulteriori restrizioni e rigidità suicide sulla spesa pubblica. Qualsiasi studente perfino della Bocconi ha studiato che una regola costituzionalmente “intransigente” ha effetti perversi in caso di recessione, perchè diminuisce il gettito fiscale e aumentano le spese sussidiarie. Senza contare che nell’eclissi di un Stato sovrano “imprenditore” e nell’età della rapacità finanziaria lo stato non ha strumenti per accedere al credito per finanziare il costo delle infrastrutture, dell’istruzione, della ricerca e sviluppo, della tutela dell’ambiente e di altri investimenti vitali per il benessere nazionale. All’epoca delle incertezze e dell’arbitrarietà, seguirebbe quella della certezza dell’opacità, della speculazione e dell’espediente, affidando a dubbie manovre contabili, alla vendita di beni demaniali, pubblici e comuni il finanziamento discrezionale di qualsiasi azione di interesse generale. La battaglia contro la “riforma” del lavoro deve muoversi parallela contro questo altro oltraggio alla democrazia, che silenziosamente viene compiuto da un governo che vuole imporre la legge marziale al posto della costituzione. No, non siamo pronti per questo.