Dal maestro di sci ai tecnici pasticcioni e confusionari: proprio non c’è pace per la nostra politica estera. La vicenda dei marò detenuti in India è la dimostrazione che la competenza priva di visione politica e di sensibilità equivale alla cialtroneria. Probabilmente i due militari sarebbero già liberi se si fosse avuta la saggezza di chiedere scusa per i due pescatori morti e di offrire di un generoso indennizzo per le famiglie, cospargendosi il capo di cenere e tentando l’operazione simpatia. Invece, forse a compensazione psicologica dell’ubbidienza cieca del governo agli ordini che vengono da altrove oltre che dal vecchio premier, si è preferito far la voce grossa. Ignari delle elezioni nello stato indiano con tutto ciò che questo comporta, ma anche della scarsa sopportazione che le nuove potenze economiche hanno nei confronti di atteggiamenti vetero coloniali, si sono affastellati errori su errori.

Dapprima sulla questione formale della competenza, tra l’altro affrontata nei modi sbagliati, poi tirando fuori improbabili petroliere greche da cui sarebbero partiti i colpi, fantasia che tra l’altro contraddiceva la stessa versione dei marò, poi abbiamo elaborato la la tesi della trappola ordita dalle autorità indiane e infine si è tentata la carta dell’Europa che naturalmente ci ha fatto pat pat sulle spalle e si è ben guardata di intervenire in un pasticciaccio  brutto come questo. Insomma di tutto e di più dando l’impressione di un incontenibile cinismo con le vite degli altri e accumulando così errori su errori, tra l’altro mettendo in moto la massa più acefala del nostro nazionalismo fascistoide che ha creato sfracelli per la nostra immagine sui giornali indiani.

Ora che questo  groviglio di strafalcioni diplomatici e di bugie infantili si è rivelato controproducente, la nuova battaglia si svolge tutta in territorio italiano: la  tendenza è di buttare la colpa sul comandante della nave e forse sull’armatore per tentare di riabilitare i due fucilieri agli occhi dell’opinione pubblica indiana. Già avevano cominciato gli ottusi commentatori della vicenda a dire che l’errore non era stato quello di sparare (degli indiani chissenefrega), ma di essere entrati in porto. E adesso gli stessi marò affermano:  “Sulla nave non giravamo armati. Le armi vengono custodite a bordo”. Perfetto: e’ stato il comandante della Lexie a scambiare il peschereccio per una imbarcazione pirata, a lanciare l’allarme, ad armare i fucilieri e chissà, magari anche a dirigere il tiro. E  presumibilmente è sempre lui che ha ordinato ai militari di scendere a terra, così almeno fanno intendere di due prigionieri quando dicono : “siamo scesi dalla nave perché ci è stato detto di farlo”.  Insomma si è in cerca del capro espiatorio.Tuttavia il momento della verità si avvicina e Staffan De Mistura, il diplomatico di lungo corso, che tiene le fila della nostra azione,  ha rilasciato una folgorante dichiarazione in serbo-croato:  se le perizie “indicassero che i colpi che hanno ucciso due pescatori non fossero dei proiettili che provengono da armi italiane, la cosa si chiude in un mese”. Ma se i proiettili “fossero identificati” come delle forze armate italiane, “la strategia è chiara: tutti possono sbagliarsi, anche i migliori marò del mondo. Le circostanze possono essere tali che questo può avvenire”.

Il signor de la Palisse non vede che se fin dal primo momento si fosse ammesso l’errore, certo comprensibile, quanto meno saremmo allo stesso punto al quale siamo arrivati dopo un mese di guazzabugli, ma senza aver avvelenato i pozzi della “buona amicizia”. I due fucilieri di marina dicono di essere trattati bene, soprattutto con rispetto. Ma mi chiedo con quanto rispetto dovremmo guardare ai cialtroni della Farnesina che per giunta se la tirano da competenti e di fronte agli errori più evidenti fanno gli indiani.