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Il dramma della Ocv e la fantacrescita di governo

C’è una fabbrica a Vado Ligure, anzi c’era una fabbrica, una di quelle che sono state in passato al centro delle battaglie per i diritti e che adesso viene abbandonata da una multinazionale americana in un contesto che è davvero un ritratto dell’avidità cieca del capitalismo, delle intollerabili e vacue ricette del liberismo professorale, dell’impotenza della politica e anche della beffa che per qualche verso è diventata l’Europa unita dalla finanza e divisa dagli egoismi e dalle furbizie.

La fabbrica si chiama Ocv, dal nome della Owens Corning che l’ha rilevata qualche anno fa ed è una parte di ciò che rimane di una lunghissima e complicata storia aziendale (chi vuole può leggere qui in pdf La storia dell’Ocv ) che la vide al centro di epiche lotte per il mantenimento del posto del lavoro: fu anche a causa di questa resistenza che si deve la creazione in Italia della Cassa Integrazione guadagni. Ma erano altri tempi, un altro mondo, c’erano altre speranze, mentre il presente e ignoto, fosco, rassegnato, in qualche modo incomprensibile.

Dunque l’Ocv, 140 operai ora sul lastrico, produce fibre di vetro, un’attività che richiede molta energia ma per la quale non dovrebbero esserci problemi visto che a due chilometri sorge la centrale di Tirreno Power. E infatti quando la  Owens Corning rilevò la fabbrica dalla S,Gobain, venne siglato un protocollo d’intesa per la erogazione diretta di energia alla Ocv, bypassando gli oneri della distribuzione, così da abbattere i costi del 18%. .

Ma si sa l’Italia dei protocolli e delle Authority, l’Italia di ministri alla Scajola che avrebbe dovuto seguire la pratica, è quella che è. Così il protocollo è rimasto lettera morta dal momento che nessuno dai cavalieri ai professori è stato in grado di darsi una mossa e attentare al monopolio della distribuzione elettrica in mano a Terna, La Owens si è stancata e con il pretesto di questo ennesimo fallimento del “sistema Italia” ha preso baracca e burattini e se ne è andata in Malesia.

Tuttavia sono proprio queste dinamiche sulle quali dobbiamo focalizzare l’attenzione per salvare il nostro futuro. La Owens infatti ha realizzato nel 2011 un incremento di fatturato del 21% e un utile netto di quasi 300 milioni di dollari, una situazione nella quale poteva certo affrontare qualche problema, tanto più che essa stessa con una incompleta e lenta ristrutturazione tecnologica aveva in pratica tenuto fermo o in sottoproduzione lo stabilimento fino all’agosto dell’anno scorso, quando tutto finalmente sembrava risolto. La logica di andarsene dopo pochi mesi appare incomprensibile se non in una logica di profitto che bada anche alle virgole marginali oppure a gestioni che magari trovano modo di lucrare su acquisti e ristrutturazioni.

La Owens se ne va dunque in Malesia: colpa dei costi dell’energia e delle incongrue, opache  privatizzazioni monopolistiche che si sono avute in questi anni. Colpa di un sistema che invece di essere finalmente rivisto alla radice è ora in procinto di essere applicato a pioggia dai professori a cui è stato ordinato di dirci che la causa di questi disastri e della deindustrializzazione è colpa dell’articolo 18 e del costo del lavoro, secondo una solfa che dovrebbe aver stufato anche chi la canta. Lo dimostra proprio l’ Ocv: la multinazionale americana lascia l’Italia, ma non lo stabilimento in Francia, distante meno di 200 chilometri dove i salari sono del 20% più alti e il costo del lavoro supera del 3% il nostro. Altro che balle, cari professori che producete lana caprina.

Ma in Francia il costo dell’energia rende possibile un risparmio di 19 centesimi di dollaro per chilo di prodotto. E qui veniamo al fatto, se possibile, ancora più increscioso. Intanto in Francia alla distribuzione e produzione dell’energia elettrica ci pensa l’Edf che è per oltre il 75% di proprietà pubblica e che quindi può fare una politica per il Paese efficace e molto più elastica, alla faccia dell’ambiguo mercatismo nostrano. In secondo luogo, com’è ben noto, in Francia solo una parte dei costi dell’energia si pagano nella bolletta che è così più leggera. Mentre un’altra parte, abbastanza consistente, viene pagata sulla fiscalità generale. Si configura dunque, in un caso come questo, un vero e proprio aiuto di Stato occulto. Così Parigi che ci impone per volere di M.me Merkel, politiche ultraliberiste, in realtà fa esattamente il contrario in casa propria, difendendo la propria produzione con il consistente aiuto dello  Stato anche se in forme indirette.

Ma tutto questo è pura fantascienza da noi dove il mercato è fasullo e consiste in un insieme di monopoli apparsi con la risacca dello Stato che sarebbe invece l’unico legittimo monopolista. Una situazione incoerente e ambigua dove l’unica tutela e l’unico progetto sono rivolti al profitto dei singoli. Non è un caso che nella provincia di Savona l’unica azienda che non langue o che non ha chiuso è proprio la Tirreno Power o che nel Paese le uniche imprese con pingui bilanci sembrano essere quella per la produzione di energia elettrica ai costi più alti di Europa. Chissà se poi questo c’entra con la straordinaria e improvvisa mutazione di certi famosi gruppi editoriali che ora accolgono come ora colato le stesse ricette che fino a settembre ridicolizzavano come proprie di un clown. Certo il proprietario è lo stesso, ma immagino che sia troppo malizioso pensare a un collegamento.Quasi quasi me ne andrei in Malesia anche io. O ci manderei un’intera Costa Concordia piena di illustri ospiti: con il comandante che si meritano.

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