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I poveri cristi pagano anche i falsi Cristi

Anna Lombroso per il Simplicissimus

Ieri il Presidente del Consiglio in visita pastorale a piazza affari si è fatto uscire di bocca la sua tremenda miserabile verità: la Borsa è la nostra ricchezza. Povero Bel Paese finito nelle mani dei piazzisti di fondi e derivati, peggio che con Signorile e De Michelis che almeno propagandavano delle patacche gentili ed eleganti: i giacimenti culturali, gli itinerari del Mezzogiorno. Almeno c’era la convinzione che bellezza, arte, storia, paesaggio fossero dei patrimoni da far fruttare e non solo dei beni da svendere. E che la creatività, l’artigianato, la tradizione e chi ci lavora dentro e in mezzo facessero parte di questa ricchezza di pensiero, passione, inventiva.

La bellezza, la conoscenza, il sapere, l’istruzione sono stati irrisi e martoriati dal governo di quelli che quando sentivano parlare di cultura imbracciavano il mitra, per disprezzo, complesso di inferiorità., provincialismo e ignoranza, tanto che a occuparsene furono nominati i più improbabili che tanto erano una specie di cayenna marginale ci si doveva accontentare delle briciole. Anzi diciamo pure che era invalsa la regola dello sfregio, dell’umiliazione delle vere ricchezze del Paese, forse per riconfermare la profezia di Galbraith, opulenza privata in miseria pubblica, forse per farci sputtanare un po’ di più nel mondo dove si rispettano e si costruisce un museo intorno agli ‘mbuti, mettendo la Gelmini all’istruzione, il poeta Bondi ai Beni culturali o la Brambilla al turismo e per non farsi mancare niente la Prestigiacomo all’Ambiente.

Ma certo non abbiamo fatto grandi passi avanti. L’ideologia che anima il governo attuale fisiologicamente non apprezza granchè la bellezza, forse perché non ha prezzo. Non ama la cultura preferendole la competenza specialistica. Preferisce la visibilità alla reputazione così in nessuna delle operette agiografiche sui ministri abbiamo letto di passioni musicali o artistiche e a teatro si va magari alle prime, per dovere istituzionale e in palco reale. A vedere le dichiarazioni dei redditi che ci centellinano c’è da sospettare che appartengano a quelle plutocrazie che comprano opere che non amano e non capiscono per investimento e – ma è una malignità – forse preferirebbero mettere in una teca dividendi, certificati ancor più che banconote crocchianti.

Così tra tanti annunci sulle magnifiche sorti e progressive della crescita, poco o nulla si è sentito a proposito di tutela e valorizzazione, nemmeno durante il golpe del generale inverno, quando il proposito più forte che ci è stato dato di sentire ha riguardato un generico richiamo alla prevenzione.
Meno cautela è stata riservata alla “liberalizzazione” dei nostri monumenti e forse, alla greca, delle nostre isole, foreste, parchi. Il diritto alla bellezza, come gli altri, è diventato un privilegio appannaggio di pochi.
E anche in questa materia vale la continuità. Si prolunga indefinitamente lo scempio sull’istruzione firmato Gelmini. Si privatizzerà l’acqua, si tornerà al nucleare, perchè non c’è interesse per l’interesse generale nei sacerdoti della “teologia economica”, cui non piace che i beni comuni siano “a titolarità diffusa”, appartengano a tutti e a nessuno, che tutti possano accedere ad essi e nessuno possa vantare pretese esclusive.
Ma c’è da augurarsi che almeno su una patacca degna di un film che potremmo chiamare “operazione crocifisso di Michelangelo” lo spaesato Ornaghi voglia tagliare, oltre che i fondi, con un vergognoso e grottesco passato. Mi mette spesso a disagio il piglio da savonarola “ricordatichedevimorire” del fatto ma ammetto che il puntiglioso accanimento nel narraci la vicenda dell’acquisto da parte del Mibac, per volontà dell’allora Ministro dei beni culturali Sandro Bondi, di un crocifisso attribuito senza attenta verifica a Michelangelo Buonarroti, è stata doverosa e gustosa.
L’incauto acquisto dell’opera, costata più di 3 milioni di euro, risale al 2008 è finito in una condanna penale da parte della Corte dei Conti per l’allora direttore generale e oggi sottosegretario del Mibac Roberto Cecchi, ritenuto tra i maggiori responsabili della vicenda.
Cecchi si difende: non parla dell’errata attribuzione che gli pare peccato veniale, ma rivendica la legittimità dell’acquisto benedetto dalla Corte dei Conti. E che si vuole di più da un direttore generale dei Beni Culturali, se non l’avallo dell’organismo di controllo economico. Bondi poi orgogliosamente rivendica il suo operato e probabilmente risponderà in versi.
Ambedue chiamano in causa un fantomatico parere favorevole di Settis, allora presidente del Consiglio dei beni culturali, che smentisce categoricamente lo spericolato duetto e anzi ribadisce di non avere mai visto il contestato reperto, sul cui acquisto molto oneroso avrebbe sollevato fondate obiezioni, a fronte di un taglio di oltre un miliardo al bilancio del dicastero.
L’antica fierezza si è trasformata in imbarazzo. Dopo l’ostensione mediatica e un breve pellegrinaggio propedeutico all’applauso del pubblico pagante, il presunto Cristo ligneo di Michelangelo giace in una cassaforte blindata e appartata alla vista nonostante non valga che poche migliaia di euro (per Christie’s ne varrebbe 60.000) mentre per accaparrarselo lo Stato italiano avesse sborsato oltre 3 milioni, con una performance degna di Girolamo Scamorza in “Totòtruffa”.

Qualcuno ha paragonato il Mibac alla Costa Concordia. Speriamo che Ornaghi si mostri più responsabile del famigerato comandante. Anche se non conforta che il ministro abbia coperto la rivelazione delle abitudini sibaritiche del presidente del Consiglio Superiore, conte professor Andrea Carandini, beccato ad auto- rimborsarsi per quasi 300.000 euro il restauro del castello di famiglia senza aprirlo al pubblico come legge pretenderebbe. E tuttora non si ha notizia che abbia riposto nella stessa remota e recondita cassaforte con il crocifisso anche l’incauto Cecchi. Insieme gli altri custodi infedeli dei nostri beni, spregiudicati come i rapaci gestori della ricchezza che piace a Monti, quella del profitto che mette in croce i poveri cristi

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