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Montopulos e Bersanopulos

Non siamo la Grecia. La lieta novella che circola come un mantra rassicurante e come l’ultimo scampolo di “superiorità” a cui ci si attacca per superare lo choc del recente stato neocoloniale, contiene purtroppo una verità inutile: quella di un Paese che potrebbe far pesare non solo il suo debito, ma anche le sue grandi risorse non sfruttate per rimbeccare le maestrine d’oltralpe e i suoi mentori liberisti d’oltreoceano. Invece non siamo la Grecia, ma ci facciamo trattare come la Grecia e ci incamminiamo sulla stessa strada.

In parte ciò è dovuto alla distruzione della cultura politica che si è avuta nel ventennio berlusconiano, un naufragio dal quale sembrano essersi salvati solo gli aspetti più opachi e più banali: l’economicismo astratto di una destra oligarchica oltreché affaristica e le pulsioni leniniste e antisindacali di tipo amendoliano, primo accenno di una resa alle tesi liberiste introdotte con il cavallo di troia dell’austerità.

Così Montopulos, direttamente preso dal reseau della finanza internazionale e da qualche mese sobrio gauleiter della nostra disgraziata provincia, ci ha servito manovre rigorosamente inique e recessive. Il chiacchiericcio di ministri e politici cerca di confondere le acque, così come lo spettacolino mediatico dei blitz finanziari messi lì per gli allocchi, ma i numeri, quando vengono espressi correttamente,  non lasciano tregua: su 30 miliardi di manovra previsti per quest’anno 15,9 miliardi sono tratti da aumenti di accise, di iperf, di iva, di tagli agli enti locali e quindi vanno a colpire in maniera determinante i redditi fissi. 11 miliardi sono ricavati dall’ici riesumata sotto il nome di Imu, dove però si attua una selvaggia regressività: le case che siano ville lussuose o monolocali ricavati da ex magazzini pagano la stessa aliquota a seconda che siano prima o seconda casa. Solo 3,2 miliardi sono a carico dei redditi alti con il prelievo sulle ricchezze finanziarie o su beni posseduti all’estero. Il resto della manovra si compone di sgravi alle imprese per circa 6,5 miliardi.

Ma attenzione la regressività della manovra non va giudicata solo sulle cifre attuali, perchè col tempo e al netto di altre manovre che è facile immaginare ci saranno, tenderà ad aumentare. Se nel 2012 la fetta ricavata sulla pelle dei pensionati è di circa 1,6 miliardi, sarà di 3,9 nel 2013 e di 6 nel 2014. Tutto questo ci permetterà di conservare il record europeo e probabilmente mondiale delle maggiori imposte sul lavoro.

Ci si sarebbe potuto attendere  di fronte a queste cifre, del resto in linea con il berlusconismo,  che il partito di sedicente centrosinistra reagisse e sapesse distinguere tra la necessità di aggiustare il bilancio e il modo con cui raggiungere questo obiettivo. Invece si è appiattito sulle demenziali indicazioni della Bce che sono politiche prima ancora che finanziarie. E non bastandogli questa resa si appresta ora ad approvare la distruzione delle tutele sul lavoro, imposte da Confindustria, dalla Bce e dall’Fmi: il pretesto è quello che  ciò permetterebbe una maggiore occupazione. Ma si tratta di una sfacciata menzogna: la letteratura economica, le ricerche delle università e dell’Ocse, oltre che le parole di noti guru del liberismo come Blanchard, mostrano che non esiste alcuna correlazione fra il livello di tutele e quello di occupazione, anzi se una qualche correlazione può essere fatta è tendenzialmente negativa: meno tutele spesso corrispondono a meno occupazione (chi vuole approfondire può andare qui ).

Ora se Monti è Montopulos vale a dire il governatore spedito a normalizzare un Paese come è accaduto in Grecia, chi glielo fa fare a Bersani di trasformarsi in Bersanopulos?  Ma qui bisogna risalire la catena di comando e arrivare a Napolitano che solo su input esterno ha avuto il coraggio di mettere alle strette Berlusconi, facendosi però imporre il Gauleiter e il programma. Programma che del resto l’uomo probabilmente apprezza, da antico braccio destro e non troppo brillante seguace di Amendola che per primo si servì dell’austerità accusando i sindacati di non fare lotta all’inflazione e tirando fuori – ancora negli ’70 – il tema dei garantiti e dei non garantiti. Laddove ovviamente non occorreva garantire chi non aveva tutele, ma toglierle a chi le aveva in una delirante forma di equità.

Il sito economiapolitica.it fa notare che la sostanza delle cose che vediamo oggi è rintracciabile anche nella crisi valutaria che colpì l’Italia nella seconda metà degli anni ’70 in un periodo di “collaborazione” tra Dc e Pci. Andreotti si presentò in televisione proponendo i sacrifici a carico dei soliti noti che sarebbero serviti a rilanciare gli investimenti e l’occupazione giovanile. Un discorso così simile a quelli che sentiamo oggi da far venire i brividi. Il partito comunista rispose incorporando la manovra del divino Giulio dentro il concetto di austerità che divenne così una sorta di alibi. Più tardi il Pci dovette cambiare strada di fronte alle proteste per il congelamenti salariali e anche di fronte all’efficacia nulla di quella ricetta che infatti di lì a poco sarà concretamente sostituita dallo stesso Andreotti e da Craxi con lo scasso del bilancio dello stato. Solo pochi rimasero fedeli a questa ricetta e tra questi il migliorista Napolitano il quale non a caso trovo sulla sua strada Berlusconi,  almeno come editore della sua rivista. Tanti anni e oggi finalmente appare soddisfatto. Trascinandosi all’inferno i greci di elezione, quel rimasuglio di classe dirigente che sopravvive nel PD, che a questo punto potrebbe significare Papademos, il gauleiter dell’egeo.

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