In questi giorni girano due spot che sono meglio di qualsiasi alata e rigorosa analisi per capire il cul de sac nel quale ci troviamo: la menzogna, illusione e l’impossibilità di rinsavire dalle parole d’ordine di un ventennio. Si tratta della pubblicità di Unicredit (qui) e della nuova Panda (qui) che partecipano e svelano il clima artificioso nel quale siamo calati. Entrambe si guardano bene dal dire qualcosa sul prodotto, ma si attaccano alla bandiera e all’italianità per vendere partecipazioni azionarie nella banca in assoluto meno italiaca della penisola e un’auto di un gruppo sempre meno italiano e che, anzi, rischia di diventare a breve, una sottomarca della Chrysler.

Naturalmente il raggiro emotivo è in qualche modo una parte essenziale della pubblicità, ma mai come in questo caso il prodotto passa in secondo piano e si cerca di vendere le immagini edulcorate e immaginarie di un Paese che proprio le aziende in questione hanno fortemente contribuito a scardinare. L’Unicredit buttandosi a corpo morto in quella finanza che ora pretende di comandare sugli stati e che vuole essere l’unica cittadinanza possibile, la Fiat che dopo aver ricevuto giganteschi finanziamenti dallo Stato ( mezzo miliardo circa solo negli ultimi 15 anni, senza conteggiare tutti gli altri benefit visibili e invisibili) ha delocalizzato la produzione, si è preoccupata poco del prodotto, ha preteso di forzare le leggi del lavoro e le libertà sindacali e infine si è impegnata in un’operazione che già oggi ha il suo centro in Usa piuttosto che a Torino.

Comprate perché è italiano insomma. Anche se ogni acquisto servirà a coprire debiti e impegni contratti altrove e si presenta dunque come contradditorio, anche se la bandiera viene usata come il drappo rosso per i tori. Questo ci sta nel meraviglioso mondo del mercato, se non fosse che questa tecnica e questi argomenti di persuasione sono alla fine la base della politica di governo. Da una parte ci si dice che liberalizzazioni e privatizzazioni di qualsiasi cosa, beni pubblici compresi, sono necessarie, che insomma l’interesse e il profitto personale sono il motore delle cose tanto che ad esso va sacrificata ogni cosa, dignità e costituzione comprese, che il mercato è la reale patria, ma poi, per parare le conseguenze di questo mantra ormai entrato di diritto nel modernariato ( qui alcuni meravigliosi esempi di tale credo), si invoca invece lo spirito di comunità e il bene collettivo, lo spirito di servizio o più modestamente e banalmente la bandiera. Ma delle due l’una: o il profitto e l’interesse privato sono prevalenti sul bene collettivo e allora il ribellismo di questi giorni in nome di interessi  personali va paradossalmente salutato come una presa di coscienza della “verità” liberista, oppure se il bene collettivo è prevalente forse bisognerebbe rivoltare come un guanto i principi astrattamente teorici e insieme volgarmente concreti, su cui si basa l’azione di governo.

E’ chiaro che il ragionamento è estremizzato come nei due spot in questione perché nella vita reale si cerca sempre un compromesso. Ma in fondo è proprio questo che viene intimamente rifiutato dal governo e da chi lo guida da lontano e da vicino: qualsiasi compromesso che metta un qualche argine al disegno oligarchico in atto regalando al grande capitale ciò che rimane del Paese. Così si  cerca di essere inflessibili con quelli a cui si è fatto credere che il proprio interesse e il profitto privato fosse l’unica cosa a cui badare, l’unico diritto da esigere, fino a che la polverizzazione a cui si è andati incontro non è divenuta di ostacolo ai grandi che com’è noto hanno più diritti degli altri.

Però sapete, io non sottoscriverò gli aumenti di capitale Unicredit, del quale sono modestissimo e disgraziato correntista, né comprerò la nuova Panda pessimamente ristilizzata  e che già si annuncia fuori prezzo. Sapete, come questi credono che il mercato sia l’unica patria possibile, salvo invocarne un altra per fare maggiori profitti, io credo invece che la vera Heimat siano i diritti e il valore del lavoro: compro solo prodotti di aziende e Paesi che almeno non li offendono platealmente.