Anna Lombroso per il Simplicissimus

Un giudice, Patroni Griffi si chiama, promuove una causa per ottenere un privilegio a costo privilegiato, giudici amici giudicano. Il primo giudice diventa ministro e anche uno degli amici influenti, poi costretto alle dimissioni. Ma il Patroni Griffi non ci sta: “Non le nascondo che ho preso in esame l’ipotesi di dimettermi. Ma sarebbe il sigillo della vittoria dell’inciviltà, un massacro al decoro comune, allo stesso buon senso. Un atto abbastanza disumano…”.

Mi è sempre piaciuta la definizione dell’Italia come di una nazione mite. Che avrebbe temperato lo “Stato potenza” per orientarlo verso lo “Stato di diritto”, attuando quella benefica contaminazione che fa di una nazione un luogo armonioso e ragionevole e una cittadinanza capaci integrare diritto, eguaglianza e morale.
Ma temo che ci si sia fatti prendere la mano e a diventare mite, anche troppo, sia stato il diritto tanto da farsi sopraffare.
Chi governa un Paese non dovrebbe mai sottomettere le sue scelte a nessun´altra autorità che non sia la legge: risiedono in questo presupposto le condizioni per la libertà e anche per il benessere, individuale e collettivo. Ma nonostante la generale condivisione, tanto diffusa da darle il senso della banalità, questa massima di buon senso è stata disattesa, irrisa e sbeffeggiata. La dissipazione della speranza di uno stato di diritto ha prodotto tremendi effetti sulla democrazia, sulla legittimità delle scelte, sull’autorevolezza e la rappresentatività della politica e spaventose ricadute sociali, mostrando il nesso tra impoverimento generale e deperimento del senso della legge, e poi, immancabilmente, tra essa e il declino del senso di giustizia sociale. Ne sono un riflesso le manovre economiche che si sono susseguite, poco disposte a intaccare un sistema di malversazione, corruzione, evasione, preferendo incrementare scelte improntate al rafforzamento di poteri già forti, quelli del mercato e del profitto.

Ma l’aspetto più terribile è quello morale e culturale, quell’innalzamento,degradante per il diritto e l’equità, della tolleranza dell’irregolarità che poi diventa a poco a poco illiceità e illegalità, il “così fan tutti” che ridicolizza rispetto e legittimità, l’acquiescenza che si muta in collusione e imitazione, l’approfittarsi a fini di profitto e di conservazione di miserabili privilegi.
È un tremendo contagio, un inquinamento che a forza di essere respirato toglie la percezione del veleno e della contaminazione. E si finisce per sorprendersi poco che nella compagine governativa ci siano personaggi discutibili, che ne siano entrati a far parte malgrado già “chiacchierati”, che dimostrino stupefazione per essere stati accusati, che vantino la loro incoscienza, inconsapevolezza, irresponsabilità come una virtù soave e disinteressata. E ci si sorprende a proposito di disinteresse che con divina spocchia si aggirino i conflitti e si eludano legittime critiche rimandando all’immancabile giudizio sui fatti e sulle azioni, ma non quelle societarie.
Sorprende invece che tutto questo sia diventato normale come l’aria che respiriamo, quella viziata delle città, che trovare qualcuno di totalmente insospettabile sia più arduo che trovare l’ago nel pagliaio, che ormai gli aghi, vista la richiesta di crune gigantesche, si individuano meglio. Sorprende il nefasto potere persuasivo del personalismo e della corruzione anche quelli più miserabile, sia tanto forte da alterare e traviare anche nelle forme più meschine, le vacanze pagate, il tennis, il frullatore di Anemone.

C’è il sospetto che nel generale inquinamento Scaiola, Malinconico, Patroni Griffi, fossero davvero “all’insaputa” di commettere delle illegalità, delle irregolarità, delle azioni comunque “maleducate” al rispetto della legge e della decenza, perché non hanno respirato altra aria che quella delle stanze del potere e di quelle attigue aspirando sempre più avidamente a penetrarvi. Uscirne forzatamente per comportamenti irregolari o illeciti, sembra loro un atto “disumano” incivile”
Pare proprio che non esista una via virtuosa al potere e alle sue conquiste: denaro, beni, donne, relais, privilegi, impunità
Il declino è databile agli anni ´80 e ai governi ispirati o guidati da Bettino Craxi. La sua politica e il suo costume di vita ha implicato l´espansione del debito pubblico con una proporzione rispetto al Pil che, scrivono gli economisti, passò dal 70% al 90% nel giro di pochi anni.

Da là è cominciato l’inquinamento proseguito con larghezza: sul debito dello Stato sono cresciuti i guadagni privati,il sistema di malaffare, ma anche la gestione fallimentare del bilancio pubblico generando quell´asimmetria che grava oggi su di noi e che non è solo economica: asimmetria tra ciò che è nell´interesse del singolo e ciò che è nell´interesse pubblico o della società larga.
E ha favorito altri processi deteriori: primo tra tutti l´incremento dell´evasione fiscale, simbolico del contrasto tra individuo e società, quello della pratica trasversale e ormai strutturale della corruzione, come un esercizio che genera politiche intenzionalmente volte a favorire alcuni a discapito di altri e della legge.

Politica dell´arricchimento privato a spese della stabilità economica e sociale del Paese e politica dell´erosione della legalità sono andate insieme. Siamo più poveri di servizi, grazie alle periodiche picconate alla loro efficienza, all’equa distribuzione e alla qualità; più poveri per l´erosione dei risparmi e delle potenzialità delle famiglie e delle persone. Siamo più poveri di diritti, considerati secondari rispetto alla cruda necessità. Siamo più poveri di garanzie e certezze. Siamo più poveri di bellezza, quella ambientale manomessa, quella culturale, umiliata, quella artistica, probabilmente svenduta. Saremo, pare, sempre più poveri di beni comuni , l’acqua, il sapere, l’informazione. E siamo poveri di giustizia, che più che mai non è uguale per tutti e di diritti, che il diritto mite non sa più garantire.