La fase due di Monti, che qualcuno gli avrà suggerito di chiamare Cresci Italia,  è ancora peggio della prima se possibile: privatizzazioni, manomissioni di diritti  con lo scasso dell’articolo 18 e dell’intero statuto dei lavoratori, sgravi alle aziende, dismissione dello Stato e del pubblico sono nel banale e prevedibile menu: è esattamente ciò che si sta facendo da vent’anni con l’unico risultato di essere cresciuti circa 11 punti in meno del continente che da parte sua non è stato proprio brillantissimo. Mi aspettavo da tecnici analisi più approfondite, più raffinate, ma ahimè l’intelligenza delle cose non si eredita dagli zii, al contrario delle facilità di carriera e di considerazione.

Mi aspettavo pur dentro la bolla liberista che si prendesse atto di un fatto evidente: che se lo Stato è divenuto inefficiente per la pervasività di una politica ridotta ad apparato, l’impresa privata non naviga in acque migliori:  il suo investimento sul prodotto e sull’innovazione che sono una funzione diretta della cultura e dell’istruzione, è così scarsa da navigare 20 punti sotto quella europea. Mi sarei aspettato che ci si chiedesse perché il valore aggiunto dei nostri prodotti sia assai inferiore a quello dei nostri concorrenti, che cosa non funziona più nei distretti produttivi che sono stati per anni il tentativo di superare la frammentazione assurda del nostro sistema industriale. Ecco mi sarei aspettato che qualcuno certamente più ferrato di me, mi spiegasse come mai in tutto il continente la produzione di beni e servizi si sia rafforzata proprio nell’alto contenuto di conoscenza, mentre da noi nulla di tutto questo è accaduto. Con conseguenze disastrose, perché il Paese si è tenuto a galla fino a che il commercio mondiale comprendeva meno del 15% di tecnologie di punta. Poi è stato il diluvio.

Senza affrontare questi nodi, senza trovare la strada per fare crescere, almeno in prospettiva, la specializzazione produttiva, tutte le strategie di cui sentiamo parlare da anni, liberalizzazioni, privatizzazioni, incentivi e stimoli fiscali si traducono o in portafogli più gonfi per gli imprenditori o in maggiori importazioni. Qualcuno propone di lasciar perdere le ubbie liberiste e di buttare sul piatto il peso della ricerca pubblica che ancora funziona ed è di ottima qualità, di trovare il modo di farla fruttare, prima che venga azzerata.

E invece temo che questa possibilità sarà dissipata in quella visione trita e conformista del libero mercato che purtroppo esprime anche il capo dello Stato in una lettera che evidentemente anticipa il contenuto del discorso di fine anno. Non ho voglia di sentire un Presidente per il quale la Repubblica non è più fondata sul lavoro, ma sul mercato: il resto lo lascio alla melassa mediatica che con suprema e interessata ipocrisia ha consegnato la tessera di giornalista a Monti. Io mi tengo ben stretto Keynes:  “la difficoltà non sta nel credere alle nuove idee, ma nel fuggire dalle vecchie”.