Da qualche tempo tentavo di dare un nome al sapore di questi giorni. Ai provvedimenti del governo Monti, alle mosse dei burocrati di Bruxelles, al ridicolo politichese di “non è la nostra manovra, ma la votiamo”, ai clamori intorno alla catastrofe e alla patetica opposizione della Lega. I gusti e di disgusti sono molti: c’è la paura, l’ amarezza, qualche scaglia di zucchero che si frange dovuta allo sprofondare del berlusconsimo dentro la sua nullità,  di delusione, di sciapo, di inutile, ma come descrivere l’insieme.

Poi sono stato folgorato dalla notizia del flop che ha fatto il cinepanettone di quest’anno, anche questo un segno dei tempi e ho trovato l’aggettivo giusto: tutto sa di stantio. C’è la consapevolezza della fine di un’epoca, ma i segni lasciati sono così radicati che si continuano a dire a pensare le stesse cose come se non fosse possibile sottrarsi alla coazione a ripetere e come se l’esperienza degli ultimi vent’anni e la logica aberrante che vi ha dominato non abbiano insegnato nulla.

Così aumentiamo di un bel numero di anni l’età della pensione per far posto ai giovani, vogliamo togliere i diritti residui a chi li ha per pareggiare la situazione con chi non li ha ed essere equi, si rimettono o s’inaspriscono vecchie tasse navigando a vista. E quasi tutti i possibili cambiamenti hanno il verbo al futuro evasivo che è una forma tipica delle coniugazioni italiane. Sembra di sentire la consistenza o il sapore di un vecchio panettone scaduto o le movenze e le battute scontate di un cinepanettone che s’inseguono di anno in anno senza più senso.

Cambiano le facce, ma non le fumisterie, cambiano le situazioni, ma non i pensieri, cambiano le angosce, ma non le soluzioni. E la data di scadenza è vicina.