Anna Lombroso per il Simplicissimus

Ogni giorno si fa più impervia quella che Hegel chiamava la preghiera mattutina del cittadino, la lettura dei giornali, anche se si è ormai ridotta a un meccanico clic sulla tastiera. Più che con la miseria sociale ed economica, ormai ampiamente praticata, la cronaca si compiace di metterci a confronto con la miseria etica: una corruzione a tutti i livelli della vita economica, civile e politica, che si manifesta in cariche pubbliche a figli, mogli, mariti e amanti, scambi di carriere politiche contro favori privati, che comprendono una molteplicità di prestazioni intellettuali e sessuali, concorsi pubblici decisi da cordate o parentele, familismo, clientelismo, caste, penetrazione delle mafie e diffusa mafiosità dei comportamenti, perdita stessa del senso delle istituzioni da parte dei governanti e disaffezione dei cittadini.

È diventata normalità – accettata con acquiescenza – l’anomalia italiana: l´acceso familismo, il machiavellismo, le clientele organizzate come sistema di potere, una certa permanente vocazione al ruere in servitium; un sistema politico sbilanciato dall´evanescenza delle opposizioni; la disoccupazione e l’arretramento dei diritti del lavoro; una classe politica fiacca di fronte all´invadenza della Chiesa cattolica e la “supplenza” che questa esercita rispetto a quella; la criminalità che dilaga a ogni livello; le disuguaglianze sociali e territoriali.

L’anomalia ha trovato una efficace rappresentazione nell’idealtipo, nel personaggio malefico, volto prestato a favorire il disincanto della democrazia, una sgradita conferma dello scetticismo nei suoi confronti che fu di Platone “l’affermazione della feccia”, o delle profezie di Montesquieu o Tocqueville sul disamore fisiologico e sul rischio del paternalismo populista e demagogico. Abbiamo avuto la “figura” dell’Italia peggiore, il guitto saltato sul trono che parla la lingua del trivio, con le barzellette, le allusioni e gli sberleffi, ma che assomiglia a quello che spesso i cittadini per bene hanno vergogna di portare in superficie e svelare. Ma che lui ha aiutato a legittimare.
Per anni ci siamo acconciati a vivere in una recita grottesca e morbosa, una di quelle rappresentazioni gotiche feroci dove si sa che finirà male, dove si sa che nessuno si salverà, ma nessuno si ribella o prova vergogna o dolore perché la rovina è ineluttabile. Berlusconi ha privatizzato il governo, ne ha fatto la propria personale macchina d’affari, ha cambiato i codici della politica, complici gli addetti ai lavori e la stampa, facendone il set dove si girava la sua farsa mentale, sregolata, ossessiva, sfrenata, egocentrica e violenta. Ma sia pure con quell’enfasi, con quella esaltazione paranoica ha testimoniato di quel sottofondo malato dell’anima nazionale, dando una maschera grottesca ma non lontana dalla realtà a quell’autobiografia della nazione che periodicamente riaffiora come una sporca melma carsica e sopravvive a ogni prova a ogni cesura storica.
Ieri nel tornare come di consueto ai temi a lui cari, quelli di un golpe nemmeno tanto morbido e solo rinviato grazie alla modifica dell’architettura dello Stato che così com’è, dice lui, rallenta l’iter di approvazione delle leggi e da poca voce in capitolo al governo. L’unica alternativa è quella di « modificare la Costituzione perchè così il Paese è ingovernabile».

Lo pensa il Cavaliere che si dice d’accordo con quello che scriveva nei suoi diari Benito Mussolini: “Sto leggendo in questi giorni le lettere di Benito Mussolini e Claretta Petacci”, ha detto confessando di ritrovarsi in molti dei giudizi del duce. “Chi governa l’Italia non ha potere può al massimo chiedere una cortesia”. Certo la democrazia che intralcia il lavoro e ostacola chi opera su mandato della provvidenza è un caposaldo della Weltanschauung dei tiranni e dei sottotiranni e c’è da sospettare che le affinità tra dittatori e dittatorelli che si avvicendano periodicamente in Italia siano state artatamente nutrite dall’editore collezionista per compiacere l’ex Presidente del Consiglio.

Quello che invece è evidente – e suona come un avvertimento proprio in questi giorni nei quali si parla di sedicenti libertà di espressione e financo di azione, sottolineando l’arcaismo del dualismo sinistra destra – è che abbiamo avuto, abbiamo e probabilmente avremo a che fare con un fascista reo confesso, un antagonista della democrazia, espressione di una destra ben viva e vegeta che ha fatto del contesto neo liberista il territorio nel quale combinare profitto e autoritarismo.
È per questo che deve preoccupare la disinvolta determinazione a proseguire l’opera di smantellamento di quella parte della costituzione e dell’architettura giuridica che riguarda i diritti dei lavoratori e le relazioni industriali e sindacali. Una manomissione che con evidenza non comporta benefici per la crescita e meno che mai per la sicurezza sociale, ma che, in sintonia con lo spirito del tempo, assume solo il significato di un “sacrificio” imposto da un idolo, quella del denaro, del profitto e della sopraffazione, e da una divinità, quella della “necessità” che esige l’offerta di diritti e conquiste.