Ciò che mi sorprende nella manovra di Monti non è la sua straordinaria iniquità e nemmeno la sua banalità o la sua totale adesione a diktat venuti da fuori per sacrificare l’Italia al dio mercato, neanche la sua inutilità e anzi il suo tremendo potenziale recessivo: tutto questo me lo aspettavo da una pattuglia di neoliberisti ottusi dalle ideologie e dalla personale agiatezza e a mai venuti a contatto con la realtà vera, impastata di sacrifici e di angoscie. Ciò che è desolante, anzi scandaloso è la mancanza di futuro che esprime.
Si tratta di una semplice raccolta di soldi, di un far cassa che non tocca per nulla privilegi, ricchezza, chiesa, casta, evasione, corruzione: chi dovrà farsi carico di fare argine al debito pubblico sacrificando ad esso la propria vita, le proprie speranze, persino la propria dignità è proprio chi è stato escluso dai vantaggi e dalle ricadute di quel debito sempre più appannaggio di un’esigua minoranza di ricchi come ci dicono le statistiche sulla distribuzione del reddito, tra le più ineguali del mondo. La platea di chi ha ricevuto i benefici del debito, di chi ha abitato nelle viscere dello spreco e della spesa ineguale, di chi ha appoggiato le politiche che lo hanno alimentato, ora chiede e ottiene che siano gli altri a pagare.
Possiamo anche pensare che il governo oltre all’imposizione dei mercati e dei loro interpreti, sia frenato dalla necessità di sottostare al ricatto del Pdl e al silenzio opaco, così responsabile da essere mortale, di quella che era l’opposizione. Eppure anche in queste condizioni sarebbe stato possibile mandare un segnale di riscatto per il futuro, lasciare qualche traccia che manifestasse e indicasse qualche obiettivo oltre al sacco dei ceti popolari. Ma non c’è assolutamente nulla, come se una dimensione temporale fosse stata abolita e i professori partecipassero in pieno a quella condizione di eterno presente, di finis historiae che è la concezione del tempo che il liberismo predilige. E del resto non è che ci si possa aspettare granché da un premier che considera l’etica sociale come un’ostacolo alla competitività: detto papale papale pochi mesi fa sul Corriere.
Sulla scuola, sui giovani, su logiche diverse di sviluppo industriale, su nuovi saperi e attività in grado di rifare un ruolo a questo disgraziato Paese, sulla necessità assoluta di valorizzarne le intelligenze, di non darle in pasto all’imprenditoria di rapina che è attorno al precariato, sul senso stesso di un avvenire non c’è proprio nulla se non vaghissime frasi d’occasione, le formule rituali di sempre, quasi che il maldestro e servile tentativo di salvare l’Italia non contemplasse una piena esistenza futura del paziente, come se clisteri e sanguisughe applicate al corpo del malato, prescindessero dal suo avvenire. E’ invece tutto un applicare le prescrizioni di Galeno in maniera automatica, pedissequa ideologica e poca importa se nel caso specifico si tratti della scuola di Chigago e non del medico dell’antichità.
Nemmeno fa capolino il tentativo di impostare un minimo di presupposti per creare una futura “clasa compradora”, ci si accontenta di quel 10, 15 per cento di abbienti che si addensa attorno al verminaio dell’affarismo contiguo alla politica e della politica contigua all’affarismo, per non parlare di ambienti e vicende ancora più opachi. Insomma è come se il piano Salva Italia, la considerasse già un soggetto morto o al massimo solo come un mercato marginale che a causa dei suoi comportamenti stravaganti dev’essere riportato dentro l’ovile.
Si, mancano molte cose nel piano del governo di emergenza con tutti i suoi ragioneri, manca soprattutto quell’equità che è il taglio più vistoso e doloroso di tutti. Anche se ad ogni stazione di questa via crucis, ad ogni scoperta di una ulteriore disuguaglianza, si alza la posta della catastrofe che si rischierebbe senza di essi. Un gioco persino troppo scoperto. Ma più di ogni altra cosa pesa l’assenza di futuro, persino di quel poco che poteva essere accennato. Forse perché il futuro è sempre all’opposizione. Più che mai proprio ora.
Non avrei saputo dirlo meglio.
Del resto è inutile stare tanto a discutere: il viceministro dell’Economia, Vittorio Grilli, è colui che fino a pochi giorni fa era nello stesso ministero nel ruolo altrettanto importante di Capo Dipartimento del Tesoro, ivi nominato da Tremonti. Ha solo cambiato stanza, sostanzialmente, per avere il potere di firma politico che il ruolo pur essenziale (e anche meglio pagato) di supertecnico non gli consentiva. Con lui e altri ministri come un ammiraglio alla Difesa (Di Paola), un prefetto agli Interni (Cancellieri) e un supertecnico iperliberista, lo stesso Monti, come premier, che manovra diversa si poteva pretendere? Rispetto al governo Berlusconi è migliorato solo lo stile, non la sostanza.
… e c’è ancora qualcuno che si lamenta della scarsa credibilità concessa dai governati alle loro istituzioni ( i governanti) !!!
Mi attendo elezioni deserte al 50 %, se la sinistra procede con questo inqualificato ruolo…
Molte cose stanno succedendo in questo nostro strano paese. Situazioni e avvenimenti che forse verranno spiegati dagli storici tra un ventina d’anni, ma che per il momento non sono degni neanche di essere presi in considerazione.L’articolo uno del decreto “Salva Italia” predisposto dal governo Monti in neppure venti giorni, dopo la plebiscitaria fiducia ottenuta dai due rami del Parlamento, ha una sigla che ricorda troppo da vicino una nota marca di varechina, pur traducendosi in un titolo nobile che significa: “Aiuto alla crescita economica (ACE)”. Fatte alcune considerazioni generiche sul decreto in specie, che si articola in oltre cento pagine, e senza entrare in merito alle questioni sociali che innesca, pone una delle considerazioni generiche di merito che è rappresentata dalla tempistica, supersonica, occorsa al governo Monti per partorire siffatto decreto “Salva Italia”. A dirla tutta, il documento di programmazione economica, ovvero la manovra finanziaria già sottoscritta dal Capo dello Stato nella sua forma di decreto e quindi in parte già operativa (accise sulla benzina) , sembra essere il risultato della lunga marcia di avvicinamento di un centro decisionale esclusivamente tecnico-finanziario verso il potere, per sostituire quello politico. Perché come minimo ci vuole del tempo, molto tempo, certamente non una ventina di giorni, per redigere un piano finanziario così dettagliato che non trascura le garanzie di finanziamento pubblico all’Accademia dei Lincei ed a quella Della Crusca, quanto lo sconvolgimento profondo del sistema pensionistico e delle autonomie locali. Chiaro che non c’è da mettere la mano sul fuoco, poiché la sorte di Muzio Scevola non è per nulla invidiabile, ma il decreto del governo Monti un suo “retrogusto” di concertazione pregressa mitteleuropea maturata in esclusivi circoli e cenacoli stile “Bilderberg” ce l’ha eccome.
Poco importa se nel frattempo, prima ancora che si pronunci il Parlamento in merito alla manovra- decreto Monti, grazie all’aumento dei carburanti, aumenterà tutto ciò che serve per vivere ancorché per sopravvivere. Nessun dolore si pretende che provochi nella gente la crescita esponenziale e quotidiana dei prezzi al consumo e delle tasse a fronte di salari che non vengono allineati al costo della vita e di un potere d’acquisto che è paragonabile a un pulce pretenziosa di strozzare un elefante. Staremo a vedere, ma una considerazione è d’obbligo: la Germania in un paio di mesi, dopo la caduta del muro di Berlino, ha riunificato e ricostruito se stessa in un solo e unico stato, con una sola capitale, da noi, trascorsi 150 anni, si distingue ancora il mezzogiorno dal resto dell’Italia. Mi sa tanto che il miracolo di riunificazione dell’amato nostro Suolo, con l’Europa che si è messa così pesantemente di mezzo, è rinviata…a un’altra vita.
Tra gli aspetti sgradevoli della crisi c’è l’emergere della guerra tra i poveri che induce alcuni a guardare in cagnesco il vicino di casa perché è andato in pensione prima di lui, o percepisce qualche euro in più.
Mentre lavoratori e pensionati si fanno i conti in tasca tra loro, decine e decine di miliardi vengono inghiottiti da un collaudato sistema di corruttele ai massimi livelli istituzionali, dalla realizzazione di “Grandi opere” costose, inutili e non richieste, per mantenere un esercito di 190 mila uomini, dove il numero dei comandanti – 600 generali e ammiragli, 2.660 colonnelli e decine di migliaia di altri ufficiali – quasi supera quello dei ‘comandati’, per i privilegi del clero, ecc.
Poiché le misure del governo avranno come unico effetto quello di peggiorare i conti pubblici, e di portare alla disperazione qualche milione di famiglie, tra sei mesi al massimo ci sentiremo ripetere le stessa cantilena che accompagna gli ultimi giorni di questo orrendo 2011 – ma ieri sera si parlava già di un’ulteriore manovra a gennaio.
A meno di un miracolo, il 2012 sarà peggiore. Molti saranno più poveri, molti usciranno dal lavoro grazie ai licenziamenti facili, e rimarranno sospesi in un limbo privo di risorse. I giovani dovranno accontentarsi di salari sotto la soglia di sussistenza e rimarranno a gravare sui bilanci di famiglie già indebolite dai rimaneggiamenti di salari e pensioni.
Fino a 30 anni fa la sinistra si occupava di queste cose.
Oggi ognuno è abbandonato a se stesso.
si è cosi!