Ugo GenesioPresidente aggiunto onorario della Corte Suprema di Cassazione, per il Simplicissimus

Si sostiene da parte di politici e di commentatori di centro destra che uno dei maggiori meriti di Silvio Berlusconi, nei suoi ormai quasi venti anni di attività politica, è quello di avere introdotto nel nostro sistema istituzionale il principio del bipolarismo, che costituirebbe secondo loro un grande avanzamento, rispondente a una forte esigenza di modernizzazione, rispetto agli ambigui compromessi e alle pratiche consociative della cosiddetta prima repubblica. E su ciò concordano spesso anche esponenti di opposto schieramento.

Ora, che Berlusconi abbia decisamente inciso, nella nostra storia recente, sul nostro sistema politico nel senso di una sua netta frattura e separazione tra due blocchi contrapposti, refrattari pregiudizialmente ad ogni forma di collaborazione, con ciò determinando una altrettanto netta divisione e contrapposizione nel Paese tra i sostenitori dell’uno o dell’altro blocco, è realtà incontrovertibile. La questione da porsi è: fu vera gloria? In altri termini, è un bene o un male? Si può considerare positivo uno sviluppo che divide gli italiani su posizioni avverse largamente preconcette, alimentate dal reciproco sospetto e irriducibile discredito?

Se è abbastanza normale e in qualche misura anche opportuno che l’elettorato tenda a confluire sui partiti maggiori, non è affatto detto che questi debbano essere solo e necessariamente due: né si giustifica, in nome della cosiddetta governabilità, la pretesa di obbligare i cittadini, con leggi elettorali appositamente modulate, a coalizzarsi su due fronti contrapposti. Risulta perciò alquanto discutibile l’appello, largamente trasversale alle forze politiche nel difficile momento attuale e nella prospettiva di una inevitabile riforma della legge elettorale, che viene espresso nel diffuso slogan “salviamo il bipolarismo”.

Basti qui rilevare che il concetto di bipolarismo quale oggi si tende ad accreditare come salvifico per la democrazia risulta del tutto estraneo alla storia e al contenuto di qualsiasi dottrina politica, al punto che il termine stesso di “bipolarismo” vi risulta completamente sconosciuto con riferimento ai sistemi politici interni degli Stati. Si aggiunge che in nessun paese al mondo, salvo che nel nostro, il tema del bipolarismo si trova oggi all’ordine del giorno del dibattito politico come elemento da promuovere o da salvaguardare. Non sorprenda infine la considerazione che il bipolarismo forzato o almeno fortemente condizionato dal sistema elettorale, come concepito e altresì tendenzialmente realizzato in Italia,  non trova riscontro in altri paesi democratici.

In Gran Bretagna, paese solitamente citato come massimo modello di bipolarismo, il confronto politico si sviluppa fra tre partiti maggiori, di cui i liberaldemocratici sono oggi determinanti nel governo in carica avendo preferito nelle trattative post-elezioni l’accordo coi conservatori a quello con i laburisti. La Germania ha conosciuto in almeno due fasi della sua storia recente l’esperienza della “Grosse Koalition” fra i due maggiori partiti e normalmente quella di governi dell’uno o dell’altro partito in aggregazioni variabili con i partiti minori (liberali, verdi). In Francia la destra estremista di Jean-Marie Le Pen, terza forza politica, è arrivata ad escludere dal ballottaggio, nelle presidenziali del 2002, il primo ministro socialista Lionel Jospin. Persino negli Stati Uniti, dove alle elezioni presidenziali del 2000 la candidatura dell’indipendente Ralph Nader determinò la sconfitta del vicepresidente uscente Al Gore a beneficio di George W. Bush, le maggioranze parlamentari si articolano spesso, in particolare per le decisioni di maggiore rilievo, secondo linee trasversali che non corrispondono alle direttive di partito, ma piuttosto alle tendenze che si manifestano nell’opinione pubblica.

Eppure in tutti questi paesi il tema del bipolarismo non viene in alcun modo preso in considerazione ed anzi neppure menzionato. Possibile che solo da noi sia così determinante ? O non è forse proprio questo bipolarismo “indotto” l’anomalia e una ragione della crisi del nostro sistema politico ?